rapporto Save the children

di Daniela Del Boca

Nel rapporto di Save the Children l’Italia è agli ultimi posti fra i paesi europei per condizioni di salute, lavoro e pari opportunità delle madri. Quoziente familiare e detassazione degli straordinari  aumentano il divario tra lavoratori e lavoratrici. Mentre con costi simili si potrebbero detassare le spese delle famiglie con figli in cui le madri lavorano e usano servizi, in un percorso volto a modificare la struttura familiare italiana, caratterizzata da ruoli fortemente tradizionali. Altrimenti, il rischio è di rendere ancora più grave il binomio donne a casa e culle vuote.

Nel giorno della festa della mamma è stato pubblicato il nono rapporto di Save the Children dal titolo “State of the World’s Mothers” (www.savethechildren.org) che mostra un ranking per molti paesi sviluppati e non, sulla condizione di salute, lavoro e pari opportunità delle madri. L’Italia è al diciannovesimo posto, ultima o quasi dei paesi europei.

LA SITUAZIONE E LE PRIORITÀ DEL GOVERNO

Tra i fattori che spingono l’Italia così in basso ci sono i divari di reddito uomo/donna (che ci vede allo stesso livello del Belize, della Repubblica Dominicana e dell’ Honduras) e ben lontani dall’80 per cento circa della maggior parte dei paesi del Nord Europa.
Un altro fattore è la rappresentanza politica, cioè la percentuale di donne presenti nel governo nazionali (solo il 17 per cento ) che ci vede simili al Gabon, o alla Bolivia e di nuovo ben distanti dal Nord Europa (con il 44 per cento). Mentre in questi paesi il tasso di partecipazione delle donne, con figli e non, è quasi uguale a quello maschile e il numero di figli per donna è vicino a due, in Italia più di una donna su due, in età di lavoro, non è occupata e ha un figlio solo o nessuno.
Nonostante l’avvicinarsi degli obiettivi  di Lisbona e gli appelli recenti del  Presidente della Repubblica che chiede di “affrontare le politiche per la famiglia, con misure volte ad elevare il tasso di occupazione femminile e a conciliare la vita familiare e la vita lavorativa” (1), sembra che le priorità annunciate dal nuovo governo vadano nella direzione opposta.
Da un lato è indicativo il basso numero di donne ministro, solo quattro su ventuno, nel nuovo esecutivo, dall’altro sono significative le proposte di quoziente familiare, che sostengono le famiglie monoreddito, e di detassazione degli straordinari che aumenta il divario tra lavoratori e lavoratrici.
Il sistema con quoziente familiare fa pagare alle donne che lavorano un’aliquota certamente più elevata rispetto all’attuale, in quanto determinata anche dal reddito del coniuge: inevitabilmente non può che scoraggiare la partecipazione femminile al mondo del lavoro, e ciò in una situazione come quella italiana caratterizzata dal gap occupazionale tra uomini e donne più alto d’Europa. 
La detassazione degli straordinari, poi, è un intervento a favore dei lavoratori che fanno (e possono fare) gli straordinari e quindi favorisce principalmente uomini, che lavorano al Nord e nelle grandi imprese. Non favorisce certo donne con figli piccoli, giovani, anziani, proprio quando il grosso problema del mercato del lavoro italiano continua a essere costituito dai bassi tassi di occupazione di queste fasce e porta a esacerbare il già grave divario tra uomini e donne.
Inoltre, incentiva le imprese a usare le ore di lavoro rispetto al numero di lavoratori: straordinario al posto del lavoro normale (si legga l’ultimo invervento di Matteo Richiardi). Il problema del nostro mercato del lavoro è il basso tasso di occupazione, non il basso numero di ore lavorate, a differenza di altri mercati del lavoro meno regolati dove le imprese usano il numero degli occupati invece delle ore di lavoro per aggiustare la produzione al variare della domanda.

L’ALTERNATIVA

Con costi simili, 2 miliardi circa, si potrebbero invece detassare le spese delle famiglie con figli in cui le madri lavorano e usano servizi ( si veda l’articolo di Boeri e Del Boca “Chi Lavora in Famiglia“) . Un intervento di questo tipo oltre che incentivare il lavoro delle donne, soprattutto con figli, potrebbe incentivare l’emersione di lavoro nero (badanti, babysitter), a creare nuova occupazione (servizi aggiuntivi necessari per le famiglie in cui si lavora in due).
Si tratta di proseguire un percorso volto a modificare la struttura familiare italiana caratterizzata da ruoli fortemente tradizionali in cui le donne sono dipendenti dalla famiglia ed esposte a rischi di disoccupazione, separazioni familiari, restringendo il divario tra redditi e opportunità tra uomini e donne. Le misure proposte vanno nella direzione opposta, con il rischio di rendere ancora più grave il binomio donne a casa e culle vuote.

(1) la Repubblica 11 maggio 2008

DANIELA DEL BOCA RISPONDE AI COMMENTI

di Daniela Del Boca

Appare evidente in questi commenti una forte contrapposizione tra donne e uomini. Mentre le donne chiedono più opzioni, per aumentare la possibilità di conciliazione lavoro-famiglia e parità di responsabilità nella famiglia (part-time, reinserimento dopo i periodi di maternità,orari degli asili più flessibili, politiche aziendali  family..), gli uomini che tendono a considerare come vincolante  qualsiasi soluzione che possa incentivare il lavoro femminile, sostenendo l’importanza del lavoro familiare delle donne.
Inoltre emerge una radicata convinzione della componente maschile che le preferenze delle donne non siano ben note e male interpretate e che in realtà ogni donna desideri soprattutto rimanere a casa ad accudire marito e figli. Strano che nessuna donna che ci scrive rivendichi questa vocazione.
L’obiettivo qui era di ragionare su politiche che allarghino le possibilità di scelta e che rispondano ad esigenze diverse di famiglie diverse nell’ottica di una maggiore uguaglianza di opportunità più che uguaglianza degli esiti. L’obiettivo non è mandare tutti i bambini al nido ma mettere tutti nelle condizioni di avere per i figli piccoli di tipo di cura che ritengono più appropriata. Né di mandare tutte le donne a lavorare.
Siamo convinti che molte donne hanno preferenze per il lavoro in casa. Tuttavia una parte di esse desidera lavorare  e ne ha anche bisogno. Lo dimostrano un tasso di disoccupazione del 10% e il fatto che tra gli inattivi disposti a lavorare (secondo le indagini ISTAT)  il 67% sono donne. Lo suggerisce, tra le varie cose, il fatto che le giovani donne italiane di oggi siano in media più istruite dei loro coetanei maschi (il 25% delle venticinquenni raggiunge la laurea contro il 19% dei loro coetanei)
Lo desiderano e ne hanno bisogno anche perchè i redditi familiari italiani (soprattutto delle famiglie con figli piccoli) sono tra i più bassi d’Europa e i tassi di separazione/ divorzi sono in crescita e si stanno avvicinando a quelli degli altri paesi europei. L’obiettivo qui è pensare a interventi che aumentino le opportunità di fare la propria scelta con una varietà di opzioni maggiore di quella attuale.

Per quanto riguarda il quoziente familiare per una spiegazione piu’ approfondita si rimanda “Imposte:una questione di famiglia”di Maria Concetta Chiuri e Daniela Del Boca a “Aliquote rosa” di Marco Leonardi e Carlo Fiorio) e a “Quel singolare quoziente di famiglia” di Claudio De Vincenti e  Ruggero Paladino, 5 Marzo 2007). Come si spiega in questi articoli, il quoziente familiare favorisce, rispetto al sistema attuale, la famiglie dove entra un unico reddito elevato tramite l’abbassamento dell’aliquota media che deve pagare. Mentre se ci sono due percettori di reddito, quello con reddito inferiore e’ sottoposto ad una aliquota marginale decisamente più alta elativamente al sistema di tassazione disgiunto (il reddito più basso è in genere quello femminile), con conseguente disincentivo a possedere un reddito da tassare.
E’ sicuramente vero che in Francia, dove è in vigore il quoziente familiare da molto tempo, il tasso di partecipazione femminile è tradizionalmente  molto più elevato  rispetto al caso italiano. E’ altresì vero che in Francia sono da tempo adottatati molti strumenti di conciliazione famiglia-lavoro decisamente carenti in Italia, quali asili statali e privati più diffusi ma anche forte presenza di asili aziendali, orari di lavoro più flessibili e ridotti, incentivi statali per l’assistenza domiciliare dei bambini e, infine, generosi sussidi per i figli (Allocation Parental d’Education). Tutto questi strumenti hanno contribuito al “miracolo” francese, ovvero alta natalità ed alta partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Per un confronto delle varie politiche per la famiglia e indicatori dettagliati che comprendono anche il benessere dei bambini (1)

Un ultimo aspetto riguarda il presunto effetto negativo dell’uso dei servizi educativi per la prima infanzia sul benessere dei bambini. Studi recenti che hanno analizzato a fondo questa questione (tra questi il premio Nobel 2000 James Heckman) mostrano come i servizi educativi per l’infanzia (quelli di alcune regioni Italiane  sono tra l’altro tra i migliori d’Europa) offrono ai bambini importanti possibilità di interazione, soprattutto per i bambini italiani che crescono spesso senza fratelli o sorelle, ed enormi possibilità  di stimolo e apprendimento. Vi è inoltre la convinzione che i bambini risentano del lavoro della madre in termini di minor tempo e minori attenzioni a loro dedicati. I dati Multiscopo  ISTAT mostrano, invece, che le donne che lavorano ‘compensano’ il minor tempo a loro disposizione riducendo in primis il proprio tempo libero piuttosto che quello passato con i figli; inoltre, tendono a incrementare le attività di qualità (quali lettura , gioco, etc) sicuramente positive per lo sviluppo del bambino. Rimane, pertanto, tutta da provare l’eventuale relazione negativa fra lavoro della madre e sviluppo del bambino. Queste ricerche mostrano anche che l’apporto dei padri e ‘ molto importante ai fini dello sviluppo cognitivo e non dei bambini piccoli indicando come anche dalle prime fasi del ciclo vitale il ruolo dei genitori potrebbe essere molto più intercambiabile.

(1) si veda Del Boca D. e C. Wetzels “Social Policies Motherhood and Labour Markets” Cambridge University Press 2007

http://www.lavoce.info/articoli/-famiglia/pagina1000425.html

rapporto Save the childrenultima modifica: 2008-05-28T23:53:32+02:00da emmagiulia
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