Scuola, Gelmini: “Penso a un bonus per chi studia alle private”
Così parla la nostra Ministra Maria Stella Gelmini a proposito della difficoltà di scegliere liberamente se andare in una scuola pubblica o privata. La difficoltà ce l’ha solo chi può scegliere soltanto di fare la scuola pubblica e non viceversa! Qui si ribalta la logica naturale del diritto. Mi viene il dubbio che dinnanzi alla disfatta della vita morale del premier, non si offra un bonus in cambio di…cosa?
A questo punto potrei dire che vogliono fare il funerale alla nostra scuola pubblica…
Vabbè, inserisco questo mio racconto che intanto augura Buon funerale ad un professore…
Giulia Penzo
Buon funerale, Professore!
Quella mattina, entrando in classe, avevo salutato frettolosamente i miei studenti.
Alcuni già col loro sorriso cominciavano a irritarmi, soprattutto se ripensavo che, proprio per essere a scuola quella mattina, avevo lasciato mio figlio all’asilo in maniera sbrigativa, con un bacetto sulla guancia e un abbraccio altrettanto fugace.
Poche parole di consolazione per quel pianto a dirotto che ogni giorno non mi lasciava tregua e le mani dell’educatrice che me lo sottraevano con un approccio che mi pareva più materno del mio.
Non sarei mai stata una buona madre. Forse, nemmeno una brava professoressa.
«Ragazzi, aprite il libro a pagina 113, trovate San Francesco d’Assisi; cominciamo la lezione sulla letteratura religiosa» attaccai senza tanti preamboli.
«Scusi prof, oggi non doveva interrogare?» mi si rivolge con aria investigativa Chiara, la ragazza del primo banco.
Guardo Chiara, due grandi occhi aperti verso il mondo, che aspettano da me qualcosa – che cosa vuoi da me, Chiara? – penso tra me e me.
«No ragazzi, mi sono accorta che sono un po’ indietro col programma e, mi dispiace, non darò nessun’altra possibilità di rimediare ai voti che già sono stati espressi in questi mesi. Ormai il quadrimestre è finito e se qualcuno voleva uscire interrogato, doveva farlo prima»
Chiara mi guarda con occhi delusi e meno interrogativi, ma non voglio ingraziarmi la simpatia di nessuno, tanto meno dei miei studenti.
Una cappa di silenzio rende glaciale il clima dell’aula.
Sono sempre andata avanti con le mie forze e questo è senz’altro qualcosa che mi dà una soddisfazione particolare, perché odio i raccomandati, i figli di papà che credono di vivere da parassiti grazie ai loro vantaggi ereditari. I ragazzi devono sapere che la scuola è impegno continuo ed io che sono una professoressa glielo devo insegnare: un giorno mi ringrazieranno per questo.
Continuo la lezione, che scivola quieta lungo le due ore successive.
La grazia e la poesia del Cantico di frate sole ci aiutano. Il fuoco è bello e robustoso e forte e i ragazzi ne sono estasiati come tutti noi fin da piccoli, che ci immaginiamo questo turbinio di sole stelle e luna simile al quadro di Van Gogh, di quell’azzurro cielo e giallo profano che circonda i nostri pensieri umani. La divinità è nell’arte, nella capacità umana di trasformare l’essenza del creato in qualcosa da condividere tra noi, esseri viventi tutti.
La campanella ci riporta alla realtà della nostra aula.
«A domani, ragazzi » saluto io, prendendo di corsa la borsa con tutte le mie carte.
«Arrivederci professoressa!» mi salutano in coro.
Corro veloce a prendermi il cappotto, scambio qualche parola con gli altri miei amici insegnanti. Ormai conosciamo le nostre abitudini e i nostri affanni. Tra noi qualche punzecchiatura, ma solo per incitarci a vicenda a non mollare nei momenti di difficoltà.
«Andrea ha pianto anche oggi, vero?» mi chiede Anna, una professoressa che insegna matematica da trent’anni e che ormai sa scrutare le mie occhiaie da notti insonni.
«Sì, purtroppo» le rispondo, «oggi ho anche una giornataccia, perché c’è il collegio docenti e devo mandare la mia mamma a prendere Andrea. Mi sembra davvero di approfittare di lei» concludo abbattuta. Mia mamma non è vecchia, ma mi dispiace addossarle questo impegno.
«Ma va là, sai che la tua mamma lo fa con amore» mi risponde Anna, nel tentativo di consolarmi.
«Sì, hai ragione» le rispondo per rassicurarla. In effetti, lei ha parole buone per tutte, ma è tra le poche che avrebbe davvero bisogno di essere rincuorata. Per via di sua madre, con un tumore da dieci anni e lei che se la cura in casa nonostante debba badare anche a tre figli e al lavoro da insegnante.
Le do un bacetto veloce sulla guancia: «Ciao, ci vediamo oggi pomeriggio »
La mattina è bella, piena di sole. Corro veloce al supermercato per prendere due cose per pranzo e per cena: mozzarelle sono il mio piatto forte.
Lungo i portici che si snodano attraverso la mia città, vedo un gruppetto di persone ferme a guardare le epigrafi.
Di solito non mi soffermo, ma il gruppetto di persone è troppo folto e forse il morto è qualche ragazzo giovane.
Guardo anch’io e resto sorpresa. E’ il mio Professore, il mio vecchio, già allora vecchio, professore di italiano e latino.
Sì, è proprio lui, il professore che amava Dante e che non amava me, di sicuro. Certo non mi apprezzava come studentessa. Da lui non avevo mai preso un voto superiore al sei, eppure scrivevo con passione e il mio sogno era quello di diventare giornalista. Alla maturità mi aveva presentato con una misera sufficienza, ma il mio orgoglio si rallegrò quando all’esame di maturità il mio compito di italiano risultò il migliore di tutto il Liceo e finalmente conquistai il desiderato “otto”.
Il danno era comunque fatto e uscii dal liceo con un misero 50/60. L’iscrizione all’unico corso per giornalisti indetto a quel tempo dal Corriere della Sera purtroppo risultò aperto solo ai sessantini e la mia delusione e le maledizioni contro quel professore che mi aveva presentato con un immeritato voto alla commissione d’esame si trasformarono in un rancore che sembrava assopito e che invece riaffiorò quando lo vidi lì, ritratto su quel foglio bianco e le parole nere che annunciavano il suo funerale. Avrei preso un’altra strada…, forse.
Il funerale era quello stesso pomeriggio, un’ora prima del collegio docenti e volevo parteciparvi, per rivedere tutti i miei compagni e fare una specie di rimpatriata anche se in un contesto infelice. Quel pomeriggio salii la scalinata di quella chiesa e quello che vidi, quando entrai, mi lasciò impietrita. La chiesa era quasi vuota, tranne le prime panche occupate dei parenti. Non c’erano i miei ex compagni di scuola. Non ero riuscita ad avvertire nessuno, ma non c’era proprio nessuno, neanche gli studenti che mi dicevano allora di ammirare il professore, e non c’erano nemmeno quei professori della scuola con i quali il Professore aveva trascorso tante ore di didattica insieme. Dov’erano tutti quanti? Possibile che nessuno, tranne me, sapesse del funerale e non si fosse sentito in dovere di dare l’ultimo saluto a quel vecchio professore col quale avevamo condiviso una parte importante della nostra vita?
Il prete terminò la funzione ed io lo salutai a mio modo, sentendo che quel rancore nei suoi confronti, in fondo, si era del tutto assopito: «Addio professore, per l’ultima volta. Non sei stato granché come professore, ma sei comunque parte di me e, come vedi, ti sono riconoscente per quegli anni. Buon funerale, Professore!»
La mattina successiva lasciai Andrea all’asilo, e lui stranamente non si mise a piangere. Pensai che, come tutti i bambini, avrebbe pian piano acquisito un po’ di sicurezza in se stesso e un po’ di fiducia nei confronti di quell’estranea, l’educatrice, a cui lo lasciavo per quasi un’intera giornata.
Così forse anche i miei studenti?
Entrai in classe felice e guardai Chiara e finalmente mi parve di comprendere i suoi occhi: «Oggi, ragazzi, interrogo chi lo desidera e domani, chi vorrà, potrà avere altre possibilità; forse ieri sono stata troppo dura con voi. Ma prima vi voglio chiedere una cosa:… verrete al mio funerale? »
I ragazzi mi guardavano sorpresi e preoccupati.
«No, niente di grave» li rassicurai, «mi riferisco a qualcosa che potrebbe succedere fra molti, molti anni, naturalmente…, o forse mai, considerando la mia immortalità…» e mi misi a sorridere.
«Sì, professoressa, verremo tutti al suo funerale» risposero in coro divertiti.
Avrei offerto a loro e a me stessa una possibilità, quella di vivere insieme felici questi anni meravigliosi di vita e, chissà, in futuro qualcuno di loro avrebbe detto (ne sono sicura):
«Buon funerale, professoressa! »
Mi hai risucchiato indietro negli anni, ho avuto un maestro “incredibile” alle elementari, sembrava uscito da un ginnasio dello spirito e del pensiero “greco-romano”, quello che sono oggi lo devo a lui, nel bene e poco nel male; alle medie un professore di italiano-storia e geografia, un altro fenomeno intellettuale con una profonda coscienza della politica e della democrazia italiana, alle superiori un altro professore degno di essere classe dirigente e faro per i più piccoli che si affacciavano alla vita; insomma, Italiani d’altri tempi, autentici fuoriclasse sconosciuti che farebbero impallidire chiunque di coloro che formano le varie caste stratificatesi in questo paese nel giro di venti anni.
P.S. Per quanto mi riguarda e ora di prenderle a calci…le caste, e non lo dico scherzando.
II P.S. E’ giunta l’ora del processo in nome della Democrazia Italiana.
III P.S. Per quanto riguarda te scrittrice, sull’agenda mi sono annotato, andare al funerale di Giulia Penzo….contenta???
Dimenticavo, parafrasandoti a proposito della Gelmini, non so voi, ma qui a Roma: “chi dice donna dice danno!”.
P.S. E non sono un femminista…pardòn, maschilista.
II P.S. Quanno ce vo’, ce vo’!
Tié! horror,…parlare di morte: chi è che diceva che se ne parliamo significa che siamo vivi? mah…tutta colpa del prof che mi ha insegnato poco 🙂
No nò, qui dalle nostre parti nn si dice “danno”: ti sbagli, vieni di persona a sentire che si dice.
E poi in questo piccolo ameno luogo che è la mia isoletta sorgerà un nuovo stato indipendente, alla facciaccia di tutti gli altri italiani costretti a subire le persecuzioni della casta. 🙂 Se vuoi c’è un posto libero prima che chiudiamo i collegamenti col resto del mondo….Caspita, adesso guardandomi intorno vedo solo bandiere verdi…, nn è che…, acc!, mi sa che diventiamo isola padana 🙁
Ti conviene restare a Roma, valà.
Eh fà pensare molto male anche me….
…ai ns tempi purtroppo ai funerali di chi è stato parte della ns vita per qualche tempo non abbiamo più il “tempo” di andarci….diciamo così che è meglio!
A presto, Giorgio.
Ebbene si, ma non è mia abitudine è stata la prima volta ma per motivi musicali…acrobazie da bagno.
… normalmente preferisco il battesimo… e per la Gelmini e il suo degno compare, la cresima… di quelle di un tempo… con un bel ceffone…
*M.
In effetti, anch’io preferisco altre cerimonie e la tua, M., sembra proprio quella più azzeccata.
Non so se la Gelmini possa essere cresimata più volte… 🙂
fra prof…ci si intende? Simpatico il tuo post ed a proposito GRAZIE DI ESSERTI ACCORTA DI ME “iomammatufiglio”, ( UN BLOG ANCORA IN EMBIONE, UN PO’ FUORI DAL CORO, io sono il giallo,il figlio è l’arancio, il bianco è LA Mamma ( LA MIA) tutto CHIARO?
Poi per farti capire qualcosa DI ME, TI MANDO ANCHE UN ALTRO LINK http://inventocose.fotoblog.it/ MENO OSCURO.CIAO A PRESTO
Se è vero, com’è vero, che si riceve ciò che si è donato, non so quante persone verranno al mio funerale di certo io vado a tanti. E la ritengo una fortuna.
Amo il tuo modo di scrivere il quotidiano, i dubbi e i ripensamenti. La vita liquida che passa inosservata.
Ciao notimetolose,
di certo nn verranno a ricambiare il favore le persone al cui funerale ci sei andata 🙂
Sono dubbiosa di natura, altro che relativismo, sono la regina degli indecisi! insomma mi ci sguazzo dentro che è un piacere.
Senti, capisco il tuo entusiasmo per la scoperta del “concretismo” nella tecnica compositiva musicale, ma in termini formali non ho previsto l’aspersione sul corpo alla fine della doccia della bevanda denominata “caffè che faceva schifo”; probabilmente dipende dall’acqua che notoriamente dalle parti vostre non rende il caffè esaltante…che cazza-rola m’hai combinato???
P.S. E poi…il caldobagno l’hai acceso? Senza il caldo bagno la tazzina non suona, poi ora siamo in estate!!!
II P.S. A scanso di equivoci e false attribuzioni il concretismo deriva dalla cosidetta “ricognizione materica”, termine usato dal compositore Armando GENTILUCCI in un saggio apparso la prima volta nel 1972, si tratta di una tecnica compositiva usata dalle avanguardie musicali della fine del secolo scorso che prevede la registrazione e la successiva “manipolazione” del suono attraverso apparecchi elettronici, io al contrario nel caso del Blog la uso allo stato puro, partendo da un presupposto oggettivo tipico del comporre con queste tecniche.
III P.S. In realtà sono convinto che la musica concreta e molto Blog-genica.
…fammi la cortesia, metti l’accento sulla e dell’ultimo PIESSE, me scappata, poi so’ pignolo, no maniacale, no ossessivo, no…boh?
Ciao Eva… comprate le mele?
… e chiedi al serpente se possiamo privatizzare al massimo la Gelmini…
Beh, una che scrive così è ovvio che gioca di fantasia, direi naturalmente.
Sorrido. si scrive per necessità. Abbiamo occhi pieni solo di disincanto.