Non posso crederci: si crea un autogoverno del popolo veneto; volete capirne le caratteristiche? Andate al sito del popolo veneto, dove troverete tutte le informazioni qualora vogliate essere riconosciuti come veneti doc. Dalla loro documentazione emerge che:
Possono diventare cittadini veneti: i nati da entrambi parlanti veneto oppure i discendenti fino alla seconda generazione (nipoti) di un parlante veneto nato in veneto oppure i residenti in territorio veneto (territorio della ex−Repubblica Serenissima) da almeno dieci (10) anni e che parli almeno un dialetto veneto oppure i nati in veneto parlanti veneto residenti da almeno 5 anni oppure attraverso l’accettazione del Governo della domanda per motivi speciali (rifugiati).
Neanche nelle mie ipotesi fantasiose assurde (vd. mio racconto La Vecchia Europa) avrei potuto immaginare si potesse arrivare a tanto: per il momento si parla di folclore…a me non sembra, questi fanno sul serio, eccome! Come per le ronde padane, per le ronde nere e quant’altro di simile.
La Life lancia la “Polisia delle Venetie”:
«Sarà un corpo armato». È polemica
Pronti 100 uomini: «Come per gli agenti dello Stato non ci sarà bisogno del porto d’armi». Il Procuratore: «Spero scherzino»
fonte: Il Gazzettino
La Life lancia la “Polisia delle Venetie”:
«Sarà un corpo armato». È polemica
Pronti 100 uomini: «Come per gli agenti dello Stato non ci sarà bisogno del porto d’armi». Il Procuratore: «Spero scherzino»
TREVISO (27 giugno) – Finisce all’esame della Procura di Treviso la prima uscita pubblica, con tanto di “polisia nationale delle Venetie”, dell’autogoverno del popolo veneto, il movimento venetista che giovedì scorso aveva cercato di opporsi, con una cinquantina di rappresentanti,
al pignoramento a Conegliano degli arredi della sede della Life, la rappresentanza degli imprenditori antifisco.
La Digos ha trasmesso un’informativa al procuratore capo Antonio Fojadelli sulla dimostrazione, alla quale avevano partecipato, tra gli altri, alcuni ex poliziotti e l’attuale capo dei vigili urbani di Cornuda, Paolo Gallina. Il giorno della manifestazione, Gallina risulta in ferie. PER LEGGERE TUTTO CLICCA QUI
Io inserisco un mio racconto, sulla libertà…
Giulia Penzo
Il sindaco
– Dammi i soldi!
Intimò l’uomo tarchiato col cappuccio nero all’impiegato dello sportello postale, puntandogli contro la pistola. Il paese era piccolo. Dentro l’ufficio postale non c’era nessuno, tranne i due impiegati. Forse uno di loro era il direttore. Anche i malviventi erano due. Uno stava controllando l’entrata e l’altro si faceva consegnare il malloppo. L’impiegato non se lo fece dire due volte. Aprì velocemente la cassa e consegnò i soldi.
– Anche l’altra.
Suggerì il bandito facendo segno verso la cassa dell’altro sportello.
– E non fare scherzi.
– Sì, sì.
Rispose impaurito l’impiegato, che si alzò per andare ad aprire l’altra cassa. Prelevò i soldi e li mise dentro il sacchetto che teneva in mano l’uomo col cappuccio e in quel momento gli arrivò veloce il calcio della pistola sulla tempia e poi non ricordò più nulla.
– Se non te ne stai zitto, a te un buco sulla fronte.
Disse il ladro rivolgendosi al probabile direttore, che se ne stava terrorizzato in un angolo.
Il direttore non fiatò e lasciò andare via i malviventi senza gridare. Poi, dopo cinque minuti di silenzio, corse fuori a guardare se i tipi se n’erano andati e ritornò dentro, a chiamare la polizia e l’ambulanza.
Fossanera non era un grande paese. Contava all’incirca 5000 abitanti. La rapina all’ufficio postale fu la notizia che permise di verificare con mano che la malvivenza era arrivata fin qui.
Fin qui arrivavano gli zingari, fin qui arrivavano i neri. Anzi, i neri prolificavano in questo paesetto e, senza di loro, la natalità annuale sarebbe arrivata prossima allo zero. Ad attirarli non era certamente il nome, né la benevolenza degli abitanti, ma la possibilità di trovare casa vicino ad una zona industriale che stava allargandosi a dismisura nel cuore della pianura padana, alla faccia di progetti locali “dal basso”, di salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche del territorio. Qui il territorio aveva solo una gran bella caratteristica, quella che i suoi abitanti non capivano niente di progetti locali “dal basso” e che in più c’era tanto tanto, ma tanto spazio. Campi innumerevoli spogli da spogliare e avvolti da una nebbiolina perenne che avrebbe tolto il buonumore anche ad uno psicotico nella sua fase maniacale.
– Direttore, ha notato qualche particolare strano?
Chiese il carabiniere della vicina caserma, che era venuto in sopralluogo all’ufficio postale, rivolgendosi al direttore dell’ufficio che se ne stava seduto, bianco da far paura.
– Sì, aveva un accento particolare, come…mmm…da straniero.
– Ha notato il colore della pelle?
– Sì, erano bianchi, giovani, bassi, ben piantati. Però sembravano, ecco, stranieri, anche dai lineamenti che s’intravedevano sotto il passamontagna.
– C’era qualche macchina ad aspettarli?
– No, nessuna, e poi c’era il mercato stamattina, si sono confusi tra la gente, ne sono sicuro.
Il carabiniere socchiuse gli occhi, come per vedere meglio i pensieri che si affollavano nella sua mente.
Il campo nomade! Ne era arrivato uno stamattina. Il sindaco aveva subito emanato l’ordinanza di sgombero immediato e i due carabinieri con i due vigili del paese erano andati con le buone maniere a presentarla ai nomadi. Forse una ripicca prima di andarsene. Chiamò la centrale e diede i dati relativi ai nomadi, che sicuramente avevano trovato un’area di sosta non molto lontano.
La rapina all’ufficio postale fu l’ultimo delitto, di una piccola serie d’episodi incresciosi che da qualche mese succedevano nel paese, piccole cose, certo, come quella della sparizione di tutti gli addobbi per la festa dei Santi Patroni; gli addobbi furono ritrovati nella piazzetta davanti ad un centro per disabili del paese. I disabili li riciclarono facendo creazioni artistiche, cosicché, alla fine, il fattaccio fu presto dimenticato, finché non accadde qualcosa di ben più grave.
A Fossanera sia i vigili sia i carabinieri facevano bene il loro lavoro. Tutte le sere, la macchina dei carabinieri passava per il paese per garantire un po’ di controllo e sicurezza su queste stradine nebbiose di campagna. La casa del sindaco si trovava in una di queste vie e qui la macchina passava un po’ più frequentemente. Il sindaco era un bell’uomo di 50 anni, non ancora sposato, ma si diceva se l’intendesse con l’impiegata all’ufficio anagrafe del comune. Tutti si chiedevano perché mai tentassero di nascondere quest’amore, già che in comune tutti n’erano a conoscenza. S’imputava che questo connubio non fosse trapelato per ragioni d’incompatibilità ambientale, nel senso che un amore nel posto di lavoro sembra un tradimento dei principi d’integrità e d’incorruttibilità che un lavoro di rappresentanza deve mantenere. Ma…, c’era anche chi spettegolava per un presunto interesse particolarmente puntiglioso del sindaco per le beghe sentimentali del paese, il cui passaggio obbligato era appunto l’ufficio anagrafe.
Il sindaco era un uomo abitudinario, e dopo il saluto ai carabinieri che quotidianamente accompagnavano il suo rientro, fu facile per i malviventi apprestarsi sotto la grande magnolia che ombreggiava la casa del sindaco e sorprenderlo, perché si sa quanto l’abitudine possa inficiare il controllo.
– Entra!
Gridò uno dei tre uomini che si erano materializzati alle spalle del sindaco mentre cercava di infilare le chiavi per entrare dentro casa.
Il sindaco si girò appena per vedere la pistola che gli stavano puntando alla schiena. Aprì il portone senza fiatare e con uno spintone ruzzolò dentro casa, come un sacco di patate, con la pancia rivolta a terra.
– Sta’ zitto, altrimenti ti faccio saltare le cervella!
Gli gridò contro uno di loro, mentre un altro con un grosso coltello da cucina si piazzava davanti alla porta, che avevano chiuso a chiave.
– Prendete tutti i soldi, ma andate via da casa, vi prego. Vi darò tutto.
Supplicò il sindaco.
La casa del sindaco era una bella villettina. Viveva insieme alla mamma novantenne che a quell’ora si trovava al centro diurno per anziani, dove se la spassava allegramente fino alle 19.00, ora in cui veniva riportata a casa dall’assistente sociale con la nuova tipo bianca appositamente comperata dal comune per il trasporto degli anziani. Perché era un paese piccolo, ma attento alle politiche sociali. Nel territorio, oltre al centro diurno per anziani, c’era un Centro educativo occupazionale diurno (quello che comunemente viene chiamato CEOD), gestito da un’Associazione sulla base di una convenzione con l’ULSS1, che occupava al suo interno una quindicina di ragazzi disabili; un Centro Occupazionale diurno gestito da una cooperativa sociale, dove i ragazzi con disabilità assemblavano le selle delle biciclette, prodotte da un’azienda del posto, ed un centro ironicamente chiamato “Villa serena”, una specie di residenza del tipo “dopodinoi”, sempre per ragazzi disabili in difficoltà perché adulti e senza genitori in grado di prendersene cura. In questo paese avevano molto a cuore il problema della disabilità.
– Al, prenditi cura dello stronzo. Disse uno dei banditi al terzo uomo, che se ne stava ad osservare in maniera a dir poco malevola il bel sindaco sdraiato per terra.
– Con piacere.
Si accovacciò sopra la schiena del sindaco e, tirandolo per i capelli, sollevò la sua testa sino ad arrivare con la bocca all’orecchio del poveretto.
– Non voglio sentire un lamento, altrimenti ti spacco la testa, giuro su dio, testa di cazzo!
Gli sibilò, e con le mani attorno alla cinta gli slacciò e tirò giù i pantaloni.
L’altro si era accovacciato davanti con il coltello bene in vista e il sindaco non poteva muoversi.
– Fagli vedere cosa sai fare. Disse ridacchiando al complice, che già stava godendo sopra il pover’uomo.
Quello che accadde dopo, purtroppo il sindaco non fu in grado di raccontare. Si seppe solo che venne trovato mezzo nudo, in uno stato semincosciente dalla mamma e dall’addetta all’assistenza, che gli prestò i primi soccorsi. Il Sindaco si trasferì, dopo la breve permanenza all’ospedale, in un’altra città e di lui non si ebbe più notizie. L’impiegata dell’ufficio anagrafe, alle elezioni successive, diventò sindaco, non si sa per le sue capacità o in onore dell’ex primo cittadino; fu comunque una sorpresa che il nuovo sindaco se la cavasse meglio del precedente. Certo è che al suo insediamento volle una giunta tutta al femminile. Nonostante questo cambiamento, i fattacci di malvivenza, piccole cose, continuarono, finché non successe una cosa strana.
Tutto era pronto per la gran festa annuale del CEOD, dove i disabili presentavano i lavoretti svolti durante l’anno scolastico. Erano una quindicina di ragazzi, con disabilità varie, dalla sindrome di Down a ritardi mentali gravi, e qualche ragazzo psicotico. C’erano due educatrici e due addetti all’assistenza. Dentro si svolgevano vari laboratori, di ceramica, di cucina, di falegnameria e i lavori erano semplici, la natura degli ospiti lo richiedeva. La soddisfazione della mostra annuale era soprattutto per gli operatori del centro che avevano l’occasione per aprirsi alla comunità, per parlare d’integrazione. Era da una ventina di giorni che le educatrici erano in fermento.
Il banchetto e lo striscione di benvenuto erano in bella vista nell’atrio e accanto in un’altra tavolata, le famose torte dei genitori troneggiavano, in bella vista.
Le educatrici erano arrivate presto la mattina per gli ultimi ritocchi alla mostra.
– E’ perfetto.
Disse Orietta, l’educatrice, rivolgendosi all’altra che stava attaccando l’ultimo manifesto con le foto dei ragazzi mentre lavoravano, nelle loro espressioni più riuscite.
– Già. I ragazzi, a che ora arrivano?
– Mah, dovrebbero essere già qua.
I ragazzi, infatti, venivano, di solito, prelevati la mattina presto dal pulmino messo a disposizione dal Comune e poi portati fino al centro per rimanervi tutta la giornata fino alle cinque della sera e riportati poi a casa.
Arrivò il pulmino. Elena, l’addetta all’assistenza che li avrebbe dovuti accompagnare, scese dal pulmino sconvolta e gridando.
– Non ci sono. Non ci sono, nessuno! Nessuno!
– Ma cosa dici? Calmati, spiega quello che è successo.
– La polizia e i carabinieri stanno indagando. Sono partiti tutti, tutti!
Rispose Elena, mentre l’autista del pulmino, altrettanto sconvolto, scendeva anche lui per confermare l’accaduto.
– Stamattina abbiamo fatto il nostro giro delle fermate e ci sembrava strano che proprio oggi i ragazzi mancassero. Così ho pensato di telefonare alle famiglie, forse si erano messe d’accordo in altro modo. Ma nessuno rispondeva e allora abbiamo deciso di andare a casa di Mario. Lo sapete anche voi che ha la mamma vecchia e che non l’avrebbe potuto accompagnare da sola. Quando siamo arrivati, abbiamo provato a suonare ma non rispondeva nessuno. La porta era aperta e siamo entrati piano piano.
Qui Elena si interruppe per piangere. Così continuò l’autista a parlare.
– Dentro era tutto buio, quando all’improvviso dalla cucina abbiamo sentito un lamento e lì abbiamo trovato la mamma di Mario.
– E cosa vi ha detto?
Chiese con impazienza Orietta, pensando alla mostra. La mostra! Tra un po’ sarebbero arrivati, il Sindaco e il Direttore dei Servizi Sociali, e loro cosa avrebbero detto? Spiacenti, non ci sono i ragazzi?
– Veramente non poteva dire nulla, perché era legata e imbavagliata.
– Imbavagliata? Ma cosa è successo? E Mario?
– Mario è scappato.
– Scappato? Ma-rio? Sei sicuro?
– Sì, sono scappati tutti.
– Scappati tutti? Ma a chi ti riferisci?
– A tutti i ragazzi del centro. Sono scappati. Fabio si è finto un operatore e se ne sono
andati.
– Sì, ho capito, ma non saranno tanto lontani…, i genitori …
– No no, hanno preso l’aereo.
– Ma ma…, l’aereo, dai, non scherzate!
– Non scherziamo e, da quel che ho capito, parlando con la polizia si sono presi i passaporti di una comitiva di disabili americani e adesso sono lì.
– Lì dove?
– In America!
Orietta si accasciò per terra. Il sindaco quando arrivò, trovò tutti che piangevano. A nulla servì ricordare che era anche per merito loro se i disabili avevano acquisito queste capacità d’autonomia, d’indipendenza.
– Ma quale indipendenza! Sboffonchiò Orietta tra le lacrime.- Sono dei criminali! Ecco, li dovrebbero rinchiudere tutti! Pazzi criminali!
Il sindaco, ex impiegata d’anagrafe, li conosceva tutti i ragazzi. Guardò le foto dove erano ritratti mentre lavoravano. Pensò alle famiglie, tutta gente che si era data da fare per creare questi centri, per i propri ragazzi. Guardò i lavoretti fatti, quanta fatica per loro, e anche gioia nello stare insieme, ma anche solitudine e isolamento. Guardò il salone del centro. Guardò gli operatori, soli e desolati. Avrebbe voluto dire loro che il sindaco precedente aveva dato già l’autorizzazione per un altro ceod. Ma pensò che invece avrebbe ritirato l’autorizzazione e, al suo posto, avrebbe creato un bellissimo centro culturale e laboratori, in cui tutti avrebbero avuto l’accesso, sarebbe stato bello anche per i giovani del paesetto avere laboratori, vita culturale, tutti insieme, con operatori preparati; sarebbe stato un arricchimento anche per i ragazzi disabili.
E così sorrise mentre li immaginava in volo, in un viaggio verso l’ignoto, verso l’altro, verso altre persone, a visitare un mondo nuovo, ad assaporare la grandezza della libertà.
Anche a Fossanera tornò la tranquillità.
Dei ragazzi non si seppe più nulla. Fu scoperto per caso che a fare la rapina alle poste erano stati alcuni dei ragazzi disabili fuggiti. A casa di uno di loro si trovò la pistola e che mancava, nella serie dei video, raccolta dal padre, quella che davano in omaggio settimanalmente col quotidiano, proprio un film:
Papillon.
Nessuno però si accorse che, dalla videoteca, mancava anche una brutta serie di film porno.
1 In Veneto AULSS è Azienda Unità locale sociosanitaria; corrisponde alla ASL delle altre regioni.
LE FOTO INSERITE NEL RACCONTO SONO STATE PRELEVATE DAL WEB E NON HANNO ALCUNA ATTINENZA CON IL RACCONTO STESSO.
La balcanizzazione di questo paese era già iniziata qualche anno fa, praticamente ci stiamo suicidando in modo strisciante ecco perché nessuno se ne accorge ed io ho una bruttissima sensazione; e comunque questo paese tornerà a spaccarsi economicamente, ideologicamente e culturalmente in tre tronconi, Nord, Centro e Sud e le isole avranno un destino proprio.
P.S. In realtà l’unità di questo paese non esiste già più, per dirtela tutta io mi sento Italiano e se devo star qui a rimarcare il mio senso di appartenza qualcosa è già successo.
II P.S. Se ancora lo trovi, ma senz’altro lo trovi tanto gli italiani non leggono un cazzo e per questo pagheranno cara questa ignoranza, vatti a cercare di Hans Magnus ENZENSBERGER “Prospettive sulla guerra civile”, l’ultima edizione è del 1994 ed una parte di quel che ho letto è già accaduto, ora sto aspettando il resto, quel libro è sempre sul mio comodino e la mia macchina il serbatoio sempre pieno.
III P.S. Mi fa ridere chi ha preso a picconate il muro di Berlino per poi barricarsi semplicemente dentro casa.
IV P.S. Non è mia intenzione aprire un dibattito c’è già chi “di-batte” ampiamente su questa “piatta”-forma, basta andare nell’home page dei Blog, è soltanto la mia reazione-esternazione alla tua introduzione, per fortuna ho anche altro da fare.
V P.S. Per il racconto ripasso, mi si chiudono gli occhi.
Poi dicono che i film porno sono diseducativi, io me li guardo tutti i giorni.
P.S. Ripassato ad occhi aperti.
II P.S. La Pianura Padana farà la fine della Campagna Romana, solo ci vorrà più tempo, è molto più grande e oltretutto spesso non si vede.
III P.S. Sai quante volte mi ci sono perso in quella pianura? Ma l’ho sempre fatto apposta!
IV P.S. A Giuliè, ‘a tangenziale t’ispira!!!
Ti ringrazio per il commento.
Quanto ad essere italiani, io mi sento cittadina del mondo, più che italiana, e tutte queste storie sull’identità (che mi pare invece sia forma ben più pesante del razzismo) non riesco a comprenderle. Parlare di identità oggi mi sembra non abbia significato, se non per tirare fuori argomenti quali l’emarginazione e appunto il razzismo.
Mi sto vergognando: nn ho letto Enzesberger, ma visto che me lo consigli e che lo hai trovato così anticipatore dello sviluppo sociale attuale, lo andrò sicuramente a leggere. Forse è vero, molti italiani non leggono, forse la lettura è dispersa in mille rivoli, e si sceglie quello più fluido e veloce e non si affrontano i fiumi più difficili.
Barricarsi dentro casa: qui non ti saprei rispondere. I tentativi per uscire sono vari; trovare obiettivi comuni è più difficile. Si parla di capitalismo cognitivo, non è che anche il movimento è diventato cognitivo?
Il di-battimento cognitivo fa molto pensare, anche su piatta-forme…, l’azione viene relegata su un angolo, che tanto c’è tempo.
Anch’io nn ho tempo per rileggere il mio racconto 🙂
buona domenica
uh uh uh, ingorghi di macchine, tangenziali? ma che ispirazione vuoi che ti venga…, …ah…, ma valà!…per quello ci sono territori meno inquinati…
Guliè, cioè Emma, me-lo hai detto tu che scrivi sulla tangenziale, mica me-lo so’ inventato io!!!
Guliè, cioè Emma, me-lo hai detto tu che scrivi sulla tangenziale, mica me-lo so’ inventato io!!!
Mi piaci nel descrittivismo del II movimento, significa che sai lasciarti andare alle tue vibrazioni, significa anche che forse non soffri di anacusica che di questi tempi non e poco.
P.S. Per quanto riguarda il decoder non sono così bastardo, per natura ipersensibile, le vecchiette mi commuovono e mi ricordano una persona e quella di turno del palazzo l’ho già aiutata a trasmigrare verso il digitale terrestre…vengo da una generazione che ha studiato educazione civica!
II P.S. Ok, da oggi in poi ti penserò prigioniera di un’isola ma con istinti violenti di fuga verso la tangenziale.
III P.S. Emma? Salutami Giulia!
Giuliè, il virtuale è un NON LUOGO DI PASSAGGIO LIMINARE, non te lo ha insegnato nessuno? Beh, te lo insegno io.
P.S. Vatti a comprare di Alain DE BOTTON, “L’arte di viaggiare” editore GUANDA, poi ne riparliamo.
II P.S. La vicina (no la vecchietta) me l’abbraccerei volentieri…me la sto a lavorà!
Penso, meglio le Venetie di Berluscon de Berlusconi!!!
Insisto sul fatto che l’italia è uno stato artificiale che si disfacerà rocambolescamente come è nato… spero solo che a noi non tocchino di nuovo i savoia…
… molto sadiano il racconto…