CHI DICE DONNA

Il Caso Eluana Englaro

Vi lascio questa intervista, tratta da Repubblica di stamattina: http://www.repubblica.it/2008/07/sezioni/cronaca/eluana-eutanasia-2/intervista-enriquet/intervista-enriquet.html

A dir la verità mi trovo in forte imbarazzo.

foto di Eluana Englaro tratta dahttp://www.elpais.com/recorte/20071017elpepisoc_1/LCO340/Ies/Eluana_Engralo.jpg

Il caso di Eluana è paradossale, ma se fosse così per tutti, la sanità funzionerebbe in maniera eccellente. Il problema, come sembra dicesse in un intervista anche il dott. Ignazio Marino, persona che stimo moltissimo, è che il medico di fronte a questi casi, spesso si trova solo e per molte persone, quello che viene definito “accanimento terapeutico” non viene nemmeno preso in considerazione: il paziente viene lasciato morire, senza provare, senza “insistere”…

Se mi trovassi così, come Eluana, vorrei che i miei familiari non demordessero: alla speranza non c’è mai fine. Lo so, la vita dei miei familiari sarebbe distrutta: ma dinnanzi alla vita propria è difficile non essere egoisti. Io credo ai genitori e agli amici di Eluana: Eluana non avrebbe mai accettato una situazione simile e in questo caso si tratterebbe solo di rispettare la sua volontà. Qui sarebbe importante iniziare a parlare di testamento biologico.

Intanto, ormai sorgono gli hospice. Non so cosa siano: forse un punto d’intermedio tra l’ospedale e la morte?

Pensate un po’: queste sono strutture che nascono per offrire cure e assistenza a chi è malato terminale. Son luoghi in cui anche per la famiglia del paziente c’è sostegno. Ma immaginate il paziente? Essere lì e sapere che per sè non c’è più nulla da fare…

Lascio questa frase, sicuramente un po’ bizzarra in questo contesto, ma che comunque lascia spazio all’immaginazione

LE COZZE VIAGGIANO SEMPRE IN COPPIA…

 

 

 

 

L’intervista/ Il professor Franco Henriquet, responsabile del Centro Gigi Ghirotti
“Senza riflettori avremmo già assecondato le volontà del signor Englaro”

Eluana, un hospice per morire
“Ma ora è un caso politico”

In Italia 206 Centri residenziali per le cure palliative dove poter vivere una buona morte
di CLAUDIA FUSANI

 

Il professor Franco Henriquet

ROMA – L’ultima battaglia di Eluana sarà ancora lunga e dall’incerto destino. “E alla mercè, purtroppo, del dibattito politico che si è incardinato su un crinale molto ideologico e molto distante da quella che è la prassi della vita quotidiana” dice il professor Franco Henriquet responsabile del Centro Gigi Ghirotti di Genova, un hospice per metà pubblico e per metà privato. E invece, per dire quanto ci può essere di non-detto e di sottinteso in questo dibattito sul caso Englaro, se Eluana, già anni fa, fosse stata portata in uno dei 206 hospice operativi in Italia, a questo punto sarebbe già morta. Secondo la sua volontà e in libertà di coscienza dei suoi familiari. E senza scomodare le supreme gerarchie vaticane.

Una premessa: gli hospice sono Centri residenziali per le cure palliative, luoghi pubblici, privati o affidati a onlus dove vengono ricoverati i malati terminali, coloro per i quali non c’è più nulla da fare. “Non luoghi dove si va a morire” si legge nel primo Rapporto nazionale su questi centri voluto dall’allora ministro Livia Turco, “ma dove si va a vivere meglio una fase naturale della propria esistenza”. Luoghi dove i pazienti hanno una prognosi “infausta” e “un’aspettativa di vita valutata in sei mesi in base ad indicatori scientifici e all’esperienza dell’equipe curante”. Dove chi entra, entro un mese, in genere muore. Con dignità e limitando il più possibile la sofferenza. In Italia gli hospice sono nati nel 1999 grazie a un’intuizione dell’allora ministro della Sanità Rosy Bindi. Oggi sono 206, per lo più al nord, garantiscono 2.346 posti letto a fronte di 250 mila malati terminali che ogni anno attraversano la fase finale della propria vita. Il professor Henriquet dirige uno di questi centri.

Nel Centro che lei dirige quanti malati entrano ogni anno?Cosa succede a questi malati?
“Sono tutte persone che hanno manifestato personalmente o al familiare la volontà di non essere sottoposti a tracheotomie, alimentazioni, idratazioni o ventilazioni assistite perchè le considerano accanimenti terapeutici”.

Come Welby?
“Con patologie analoghe a quelle del signor Welby”.

E quindi?
“Quindi, come stabilisce la Costituzione, la convenzione di Oviedo, il codice civile e deontologico, interrompiamo ventilazione o alimentazione artificiale. Rispettiamo la volontà del paziente”.

Professore, una domanda difficile. Se il signor Englaro si rivolgesse al suo centro per ricoverare Eluana, sarebbe accolto?
“In questo momento sarebbe molto difficile. E’ diventato un caso nazionale, pubblico, politico e giudiziario. Aggiungo un ‘purtroppo’. Accogliendo quella povera ragazza, si darebbe dell’hospice l’immagine di luoghi di morte… Insomma un’immagine negativa”.

Ed è per questo che il signor Englaro non ha trovato ascolto in alcuno dei 48 centri operativi in Lombardia. Facciamo finta per un attimo che i riflettori siano spenti e che Eluana non sia un caso. Cosa farebbe?
“Avrei assecondato la volontà del padre sicuro che è la volontà della figlia, cioè interrompere ogni tipo di cura configurabile come accanimento terapeutico. Quel padre ha tutte le ragioni del mondo nel fare questa battaglia e nel chiedere la fine delle sofferenze per la figlia. Solo che la mancanza del testamento biologico, nel momento in cui il caso diventa pubblico, espone il medico a rischi penali come l’incriminazione per omissione di soccorso”.

Proviamo a raccontare cosa succederebbe se una qualsiasi Eluana fosse ricoverata in un hospice?
“Dopo un certo tempo, al massimo sono due anni, in cui equipe mediche e parametri clinici rigorosissimi accertano lo stato di irreversibilità del coma, se i parenti ci chiedono di staccare sondini alimentari e/o ventilazioni, lo facciamo. Accade quasi tutti i giorni nelle terapie intensive”.

E cosa sarebbe scritto nella cartella clinica?
“Coma irreversibile, si interrompe ventilazione artificiale per volontà dei familiari”.

Però c’è anche chi dice no, andiamo avanti, speriamo.
“E sono anche questi tantissimi. Per il medico è e resta centrale la volontà del paziente e dei familiari. Io sono onorato di aver avuto per 30 anni come paziente Rosanna Benzi, una donna straordinaria, piena di vitalità e nel pieno delle sue capacità intellettuali. Condannata al polmone d’acciaio, voleva vivere e ha vissuto. E’ morta, poi, ma per un tumore”.

Libertà di coscienza, quindi.
“I codici deontologici professionali ruotano tutti intorno al principio del rispetto della volontà del paziente”.

I malati, professore, cosa chiedono?
“Alcuni vogliono lottare fino in fondo. Altri, i più, non vogliono oltranzismo terapeutico, non vogliono soffrire”.

Il sondino che alimenta Eluana è cura medica oppure no?
“E’ prestazione medica: è stato accertato, deciso e scritto. Quindi il sondino è accanimento terapeutico”.

Quanto serve il testamento biologico?
“E’ fondamentale per tutelare il medico e per regolamentare le fasi della vita in cui il malato non è cosciente e non ha mai affidato a un famigliare o ad un parente stretto le sue volontà”.

Sta seguendo il dibattito politico sul caso?
“Purtroppo è diventata una diatriba ideologica. Da una parte il valore della vita che va difesa anche in situazioni estreme; dall’altra il principio della determinazione della libertà di scelta. Così è paralizzante, non si va da nessuna parte. Anche perchè a peggiorare la situazione ci pensa l’ennesimo conflitto tra politica e magistratura, con la politica che prevarica il giudiziario…”.

Eluana soffrirebbe se le fosse staccato il sondino?
“No, perchè è in coma e non è cosciente”.

Quanto tempo per morire, professore?
“Un mese, al massimo”.

(2 agosto 2008)

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Cosa succede a questi malati?
"Sono tutte persone che hanno manifestato personalmente o al familiare la volontà di non essere sottoposti a tracheotomie, alimentazioni, idratazioni o ventilazioni assistite perchè le considerano accanimenti terapeutici".

Come Welby?
"Con patologie analoghe a quelle del signor Welby".

E quindi?
"Quindi, come stabilisce la Costituzione, la convenzione di Oviedo, il codice civile e deontologico, interrompiamo ventilazione o alimentazione artificiale. Rispettiamo la volontà del paziente".

Professore, una domanda difficile. Se il signor Englaro si rivolgesse al suo centro per ricoverare Eluana, sarebbe accolto?
"In questo momento sarebbe molto difficile. E' diventato un caso nazionale, pubblico, politico e giudiziario. Aggiungo un 'purtroppo'. Accogliendo quella povera ragazza, si darebbe dell'hospice l'immagine di luoghi di morte... Insomma un'immagine negativa".

Ed è per questo che il signor Englaro non ha trovato ascolto in alcuno dei 48 centri operativi in Lombardia. Facciamo finta per un attimo che i riflettori siano spenti e che Eluana non sia un caso. Cosa farebbe?
"Avrei assecondato la volontà del padre sicuro che è la volontà della figlia, cioè interrompere ogni tipo di cura configurabile come accanimento terapeutico. Quel padre ha tutte le ragioni del mondo nel fare questa battaglia e nel chiedere la fine delle sofferenze per la figlia. Solo che la mancanza del testamento biologico, nel momento in cui il caso diventa pubblico, espone il medico a rischi penali come l'incriminazione per omissione di soccorso".

Proviamo a raccontare cosa succederebbe se una qualsiasi Eluana fosse ricoverata in un hospice?
"Dopo un certo tempo, al massimo sono due anni, in cui equipe mediche e parametri clinici rigorosissimi accertano lo stato di irreversibilità del coma, se i parenti ci chiedono di staccare sondini alimentari e/o ventilazioni, lo facciamo. Accade quasi tutti i giorni nelle terapie intensive".

E cosa sarebbe scritto nella cartella clinica?
"Coma irreversibile, si interrompe ventilazione artificiale per volontà dei familiari".

Però c'è anche chi dice no, andiamo avanti, speriamo.
"E sono anche questi tantissimi. Per il medico è e resta centrale la volontà del paziente e dei familiari. Io sono onorato di aver avuto per 30 anni come paziente Rosanna Benzi, una donna straordinaria, piena di vitalità e nel pieno delle sue capacità intellettuali. Condannata al polmone d'acciaio, voleva vivere e ha vissuto. E' morta, poi, ma per un tumore".

Libertà di coscienza, quindi.
"I codici deontologici professionali ruotano tutti intorno al principio del rispetto della volontà del paziente".

I malati, professore, cosa chiedono?
"Alcuni vogliono lottare fino in fondo. Altri, i più, non vogliono oltranzismo terapeutico, non vogliono soffrire".

Il sondino che alimenta Eluana è cura medica oppure no?
"E' prestazione medica: è stato accertato, deciso e scritto. Quindi il sondino è accanimento terapeutico".

Quanto serve il testamento biologico?
"E' fondamentale per tutelare il medico e per regolamentare le fasi della vita in cui il malato non è cosciente e non ha mai affidato a un famigliare o ad un parente stretto le sue volontà".

Sta seguendo il dibattito politico sul caso?
"Purtroppo è diventata una diatriba ideologica. Da una parte il valore della vita che va difesa anche in situazioni estreme; dall'altra il principio della determinazione della libertà di scelta. Così è paralizzante, non si va da nessuna parte. Anche perchè a peggiorare la situazione ci pensa l'ennesimo conflitto tra politica e magistratura, con la politica che prevarica il giudiziario...".

Eluana soffrirebbe se le fosse staccato il sondino?
"No, perchè è in coma e non è cosciente".

Quanto tempo per morire, professore?
"Un mese, al massimo".

(2 agosto 2008)

Il Caso Eluana Englaroultima modifica: 2008-08-03T16:19:00+02:00da
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