CHI DICE DONNA

LETTERA APERTA ALLE DONNE DI PADOVA

questa lettera la trovate anche su:

http://www.womenews.net/spip3/spip.php?article2756

Lettera di Paola Zaretti, presidente di OIKOS-BIOS, associazione di promozione sociale di Padova.

E’ una lettera che offre spunti interessanti di riflessione anche alle donne che non sono residenti a Padova, perché chiama all’incontro.

OIKOS-BIOS

 

Care compagne… di viaggio,

 

credo di dire cosa ovvia se dico (e penso) che sia assolutamente necessario e urgente, in questo momento storico, che le donne di questa città che fanno a capo a differenti strutture ed esperienze – istituzionali e di “movimento” antico e nuovo – si incontrino.

Da molti anni, ben prima del Marzo del 2007 – periodo in cui Oikos-Bios ha organizzato il primo Convegno su Le figure della violenza con la presenza di Irigaray l’idea di proporre l’iniziativa di un incontro il più possibile allargato, era presente con insistenza nei miei pensieri.

Ho avuto l’opportunità di parlarne, in seguito, ad alcune persone che fanno parte del Gruppo delle Donne in Nero, le prime da noi contattate e le sole, del resto, che abbiano manifestato un certo interesse e disponibilità a iniziare un dialogo con noi partecipando, su nostro invito, e con un loro intervento, al Convegno.

Nessuna risposta ci è mai pervenuta – né in quell’occasione, né in altre successive – da parte di altri gruppi invitati a partecipare o – qualora lo volessero – a dare la loro adesione ad altre iniziative centrate sulla violenza di genere.

Tale invito da parte nostra, non voleva essere nulla di più che un gesto di apertura in vista di un possibile dialogo con le realtà femminili e femministe esistenti in questa città, finalizzato alla ri-costruzione di un movimento che sembrava inesistente.

Ho ritenuto, non arbitrariamente, che quel silenzio fosse, in realtà, una risposta eloquente e inequivocabile ed essendo stata nel frattempo informata, a grandi linee, di una certa disgregazione dovuta a una serie di fratture causate da episodi non privi di violenza che avrebbero profondamente segnato la qualità delle relazioni fra le donne del movimento anni ‘70 in questa città, mi sono detta che, sic stantibus rebus, non c’era ragione di credere che fosse compito mio, che toccasse, insomma, proprio a me – che ho vissuto l’esperienza della pratica femminista nel contesto di un’altra città – tentare, con scarsissime possibilità di riuscita, l’operazione improbabile di provare a ritessere i fili di un ordito e di una trama appartenenti alla storia di un contesto urbano a me del tutto sconosciuto.

Ho deciso così, in quel momento, di desistere da un’impresa tanto difficile che, oltretutto, avrebbe anche corso il rischio di apparire, nell’immaginario altrui, per ciò che non era: un atto di presunzione o, peggio ancora, una prevaricazione.

In realtà, se è giusto tener conto, in una certa misura, del prossimo, rinunciare a un desiderio avvertito come prioritario e a un’iniziativa ritenuta – a ragione o a torto – politicamente importante in nome della preoccupazione di ciò che SI pensa o non Si pensa o SI può pensare, è un errore, così com’è un errore fare della propria provenienza extraterritoriale un motivo per desistere da ciò che si ritiene giusto fare.

Si trattava, d’altronde, in quella mia temporanea rinuncia, di un problema solo in parte personale giacché trovava, nella conoscenza e nell’esperienza diretta delle modalità di funzionamento dei gruppi, un terreno favorevole: non conoscere e non aver preso parte in carne e ossa – e non solo “ideologicamente” – alle vicende del movimento nato in questa città e ai gruppi allora esistenti, mi avrebbe forse messa nella spiacevole condizione di un’estraneità tanto più fastidiosa e “disturbante” quanto più l’”estranea” di turno – si fa per dire! – assumeva una posizione attiva e propositiva su un terreno estremamente delicato.

Di qui la mia decisione di rinviare l’appuntamento e di scrivervi solo ora, per invitarvi ad un incontro nella nostra sede a seguito di una decisione maturata nel frattempo e determinata sia dalla presa di contatto con alcune realtà con le quali si è aperta una collaborazione e un dialogo, sia, soprattutto, dalla piega presa da importanti eventi politici (la raccolta di firme ideata dall’UDI per il 50 e 50, la ripresa della lotta in difesa 194, l’opposizione alla crociata di Ferrara e, ultima in sequenza ma non per importanza, la strage di donne di cui la cronaca ci informa) che hanno risvegliato e ridato ossigeno a desideri, energie e speranze solo sopite e alla voglia di ricominciare a lottare assieme alle nuove generazioni per contribuire a una Vita migliore.

Ritengo che in questo momento di grave deriva politica sia necessario tradurre in Atti politici estremamente concreti tutto il potenziale di Vita e di capacità che appartiene alle donne, alla loro intelligenza, sensibilità e acutezza.

Per realizzare questo obiettivo, credo sia necessario lo Studio di un piano politico e la messa a punto di una strategia comune capace di declinare insieme uni-tà e di-versità in una co-esistenza antidialettica.

Ciò significa, per quanto mi riguarda e per quanto riguarda l’impostazione di lavoro scelta da Oikos-bios, contrastare in primo luogo la logica, la pratica e l’ossessione dicotomica maschile del dentro o fuori (dalle istituzioni) e lavorare alla costruzione di una teoria e di una pratica non dicotomica – personale e politica – del Dentro e Fuori contemporaneamente.

Ma significa anche rifiutare unità fittizie o improvvisate che non hanno alcuna reale incidenza sociale e politica in senso trasformativo e che rischiano di funzionare come boomerang a nostro svantaggio.

Si tratta, in definitiva, in questo momento, di riformulare un’etica femminile e femminista impegnata non nella piccola ma alla “Grande Politica” e di ricercare uno stile di lavoro il più possibile condiviso e improntato, piuttosto che alle piccole differenze fra donna e donna – differenze che pure rappresentano, se utilizzate nei giusti contesti una risorsa irrinunciabile – alla massima compattezza, senza la quale è impossibile rispondere con efficacia a un’antica domanda in modi nuovi, inediti e più attuali, risultanti dal reperimento di quei nuovi strumenti – empirici e intellettuali, teorici e pratici – di cui saremo capaci:

 

Come è possibile non solo resistere realmente, ma anche insidiare e/o dislocare la rete socio-simbolica esistente (il “grande Altro” lacaniano) che predetermina lo spazio all’interno del quale soltanto il soggetto può esistere? ( Zizek)

 

Ma si tratta anche di formulare, in aggiunta, domande come queste:

●Quali sono le forme di resistenza femminile più efficaci per insidiare al cuore il sistema del dominio patriarcale?

●Come fondare la resistenza femminile affinché essa non sia “cooptata in anticipo, inclusa in un gioco eterno che il Potere gioca con se stesso?”

●Quali sono i vantaggi di una resistenza intesa come “eccesso”?

●E’ possibile una riarticolazione dell’Ordine Simbolico dominante attraverso l’Atto?

 

E’ un lavoro impegnativo per il quale diamo, come Associazione, la nostra disponibilità restando in attesa – qualora foste interessate all’ incontro in un tempo da concordare insieme – di una vostra gentile risposta.

 

Un saluto da

Paola Zaretti (OIKOS-BIOS)

 

Padova,Settembre 2008

 

 

LETTERA APERTA ALLE DONNE DI PADOVAultima modifica: 2008-10-29T08:38:56+01:00da
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