CHI DICE DONNA

MENS SANA IN CORPORE SANO

Oggi si parlava di diete, di regole; il sole taglia in due ed io a sciogliermi… 

La palestra

(mens sana in corpore sano)

 

La palestra era un locale pressoché quattro per quattro, con stipati dentro una miriade di attrezzi. Il gestore era un uomo piccolo e tozzo, che indossava una larga felpa e sulla testa rasata un cappellino che gli nascondeva una profonda cicatrice. Di mattina, nella palestra si ritrovavano a fare ginnastica donne delle più svariate età, dalla casalinga quarantenne che desiderava ancora mantenere la giovinezza e la forma fisica, alla ragazzina tisica diciottenne che aspirava al modello della modella perfetta. Il sogno della bellezza a portata di mano, sotto casa e con il minimo sforzo. Il piacere disintegrato dello sport in pillole, segmentato in esercizi con i pesi, con gli addominali, con la cyclette.

La palestra rappresentava lo spazio di libero movimento in cui ognuna diventava un muscolo flessibile, gambe spalancate di piacevole divertimento, il cui sudore diventava simbolo del lavoro su di sé, braccia toniche di morbida sinuosità, glutei sodi che riproducevano orgasmi di godimento interiore nell’andare su e giù nello step. Su e giù, su e giù, un andamento cosmico simile ad un amplesso amoroso: chi entrava nella palestra ne usciva rinato nel corpo e nello spirito, un karma interiore amplificato dalla stanza quattro per quattro. Quando Anna entrò, capì subito che si sarebbe trovata bene. Le donne presenti in palestra la salutarono con accoglienza. Anna era una donna di trent’anni e dopo la gravidanza aveva deciso di frequentare la palestra: dieci chili di grasso soffice da sciogliere.

Il maestro le mostrò la serie combinata degli esercizi: cyclette, sollevamento pesi con le braccia, torsioni, addominali, ginnastica a corpo libero e infine, dopo un’oretta, ben venti minuti di sana corsa sul tappeto rotante.

Un’ora per sé, un’ora totale di relax.

Anna, il primo giorno di palestra, tornò a casa distrutta, con i muscoli indolenziti ma con una voglia pazzesca di far sesso. Quando arrivò suo marito, piroettò piacevolmente davanti a lui per mostrargli il risultato di quel giorno di lavoro: – Guarda che glutei! Si vede, eh? Altro che diete ed in più ci sono persone simpatiche, normali, come me, e non malate di narcisismo come pensavo.

Arturo l’attirò dolcemente a sé; Anna con la sua dolcezza racchiudeva l’universo femminile e lui poteva giustamente approfittarne.

Nei giorni seguenti in palestra le ore passavano veloci e quell’ora iniziale, che Anna dapprima aveva dedicato alla ginnastica, adesso cominciava a dilatarsi fino a ricoprire ormai tutta la mattina. Ad Anna si erano sviluppati gli addominali e la dolcezza dei glutei iniziava a lasciar spazio a muscoli duramente scolpiti, qualcosa di sodo e di liscio simile alle palle di biliardo. Arrivava a casa stanca, ma fiera si ammirava allo specchio e rivedeva l’immagine di una donna diversa: aveva perso le rotondità acquistate durante la gravidanza ed era diventata quasi spigolosa.

Il marito osservava Anna di sera: le occhiaie sul viso di sua moglie lasciavano trasparire qualcosa che la tormentava ma il suo corpo gli piaceva così magro e ossuto, sembrava un elastico tirato alla massima estensione, e lui di notte poteva godere della sua intima forza, anche se fare all’amore ormai era diventato quasi una prestazione più che un momento di passione.

Dovresti smettere. Sei ormai perfetta, che bisogno hai di andare ancora in palestra? Le disse una volta, dopo aver fatto l’amore. Anna si tirò su dal letto come offesa: – Sei uno stupido! Non vedi quanto lavoro c’è ancora da fare? Non voglio mica diventare vecchia prima del tempo!

Le donne sono proprio delle maniache…, pensava Arturo.

Ma per Anna la palestra era diventata davvero un’ossessione; ormai andava in palestra più di qualche volta al giorno: lasciava il bambino da sua madre e poi andava lì, dove trovava anche altre donne con le quali poteva parlare. Le mancava il lavoro e al rientro avrebbe sicuramente avuto un sacco di problemi con i colleghi perché, a causa della sua assenza per maternità, dovevano svolgere anche parte dei suoi compiti e allora preferiva non pensare a quel momento.

Dopo la nascita e le convenute congratulazioni non aveva ricevuto nemmeno una telefonata da qualche sua collega. Certo, nessuna recriminazione: tutte erano impegnate tra lavoro, problemi familiari, alcune con i bambini ancora piccoli da accudire oppure assediate dall’assistenza agli anziani genitori. Si era sentita quasi colpevole durante la gravidanza e il permanere a casa durante l’astensione facoltativa.

Conciliazione di vita, conciliazione dei tempi di vita: pensava al prossimo suo destino di corsa perenne, uguale a tutte le altre donne, sempre pronte a correre, contente magari perché con la fermata del tram disposta proprio davanti al nido, con le educatrici che ti aspettano, appena in tempo per smontare dal turno del pomeriggio per andare a riprendere il bambino, e fuggire con la bolletta del gas pronta in tasca da pagare e l’ufficio postale che è comunque pieno ma che le sta aspettando perché così vuole la conciliazione dei tempi di vita delle donne mentre arrivano con il pupo in braccio che piange perché lo si è appena prelevato come un pacco dall’asilo.

Tutto perfettamente a posto per una donna perfetta.

Vorrei riconciliarmi con me stessa, pensava Anna.

Anna si sentiva persa in quel vortice di doveri: dover essere una buona madre, una buona moglie, una donna conciliante, con i tempi di vita che si incastravano come in un puzzle.

A lei bastava solo essere una mamma, non voleva il rispetto di alcun tempo di vita. La sua vita non erano pezzi da far combaciare.

Coccolava con amore, gli faceva succhiare dolcemente il latte dal suo seno e lo guardava con affetto, quel piccolo essere che sembrava chiedere tutto al mondo.

Questo non era qualcosa di già conciliante? Con il mondo intero, pensava.

E aveva bisogno di qualcosa per sé.

Di giorno, il bambino. Di notte, il marito.

Le mani di suo marito cercavano il suo corpo:- Dove sei, dove sei amore?

Ma era lei che non lo incontrava.

Lo sentiva come un estraneo entrare dentro di sé: – Voglio un aiuto, sto gridando, perché non mi senti? Gli gridava, ma lui sembrava non accorgersene. Anche nell’orgasmo si distanziava come in un esercizio ginnico. Lui allora le accarezzava i capelli: – Sei bellissima. Hai un corpo bellissimo.

E poi lui si rigirava nel letto.

 

 

Quel giorno Anna, quando arrivò in palestra, l’osservò attentamente per la prima volta. Le stanze erano sì piene di attrezzi ginnici, ma c’erano anche stanze chiuse, sembravano uffici. Le stanze piene di bianco, il bianco…, nel vortice degli occhi tutto le girava. Si catapultò veloce fuori dalla porta, si fermò sulla soglia, appena in tempo per osservare la targa vicino alla porta d’ingresso, appena in tempo per leggervi la sigla CSM, prima che due mani forti la tirassero di nuovo dentro i locali.

Il marito si soffermò un attimo e abbassò gli occhi prima di entrare nel Centro di Salute Mentale. Suonò il campanello e un infermiere gli venne ad aprire il portone.

Da lontano, nel lungo corridoio, la intravide subito.

Anna, madida di sudore, con i capelli gocciolanti, era seduta sulla fredda sedia di alluminio, in una posa innaturale del corpo. – Anna…- la chiamò.

Il pallore spettrale la rendeva bella e spaventosa allo stesso tempo, mentre aritmicamente si dondolava.

Anna ripercorreva nella mente l’esercizio ginnico: un salto nel buio, un corridoio lungonero, un salto verso la luce, sudore, sudore, annientamento.

Non sarebbe più, mai più – aveva deciso- tornata indietro.

 

di Giulia Penzo

MENS SANA IN CORPORE SANOultima modifica: 2009-05-18T00:31:00+02:00da
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