CHI DICE DONNA

L’ORECCHINO E ALTRI SGUARDI

Tevere in piena, Isola Tiberina a Roma – G.F.G. Liminare_206 (Anni 1970)

 

Se avete letto i tre post precedenti, ora vi aspettate un addentrarsi nei personaggi. Sicuramente l’avrete capito, tra i

 

PERSONAGGI:

Anna: pittrice, opinionista sul Giornale, quotidiano locale di Roma;

Alberto: attivista in un partito locale di opposizione al regime;

Giovanni: anima pia e nobile, eternamente innamorato di Anna.

 

AMBIENTAZIONE:

Roma, fine anni ’20. In pieno regime fascista.

 

Io so che si immaginano queste persone, in quel periodo affannoso di silenzi, lei pittrice al servizio del regime e lui, attivista, pieno di rigore morale che però cade di fronte alla passione, alla sensualità prorompente, dimostrando la piccolezza umana nelle relazioni.

Il finale è incerto. Forse Alberto si è suicidato, forse è stato ucciso, forse è caduto accidentalmente…In quel periodo le vicende accadevano così, più tardi alcuni, anzi una donna avrebbe parlato di Banalità del male

 

Vi lascio il finale del racconto, con la foto gentilmente concessami da Liminare_206

 

La foto racchiude in sé la potenza della natura: ad essa non possiamo sfuggire, solo ad essa è impossibile sfuggire…Al resto ci possiamo pensare, dobbiamo fare noi qualcosa.

 

Beh…non prendetemi sul serio (cavolo, a metà agosto bisognerebbe pensare alle stelle!)

 

 

Al Giornale, arriva la notizia della morte di Alberto, annegato nel Tevere.

Si presume il suicidio.

 

 

L’ORECCHINO

 

 

Dal giorno in cui si erano lasciati, aveva continuato la vita di sempre, malgrado la fatica del vivere. Quando le arrivò la notizia della morte di Alberto erano passati alcuni giorni. Lei era già come morta, ma una morte non sarebbe stata altrettanto dura.

Gli amici l’accompagnarono a casa e volevano starle accanto perché lo sguardo vuoto ed il pallore spettrale avrebbero spaventato chiunque ma lei, in un moto di risolutezza di cui non si credeva capace, aveva preferito starsene sola.

Quando se ne furono andati si diresse alla finestra e pensò che tutto continuava giustamente come prima; Roma era bella e accogliente e allegra e bianca, di una luce che ricopriva i palazzi, le vie, delineando elegantemente le cupole nel cielo limpido. Non ci poteva essere città più disperata di Roma nell’incarnare la bellezza frenetica della vita e nessun’altra città in cui fosse più giusto morire.

Fu allora che si volse, come assalita da un presentimento, e notò la piccola scatola di legno sopra il tavolo.

Lei aveva l’abitudine di riporla nella cassettiera a fianco del letto e le parve strano che fosse lì, al centro della tavola.

Fece per riporla, ma istintivamente l’aprì.

Dentro, osservò incredula, non c’era più l’orecchino di perla che lei tanto amava, ma c’erano entrambi, gli orecchini che ora brillavano della luce sanguigna del velluto rosso dov’erano adagiati.

Un’ombra cadde sul viso della donna quando, nel prendere l’orecchino, sfiorandolo con le dita, percepì inavvertitamente l’umido del velluto.

(FINE)

L’ORECCHINO E ALTRI SGUARDIultima modifica: 2009-08-12T14:15:00+02:00da
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