CHI DICE DONNA

L’INDIFFERENZA

Continua dal post precedente…

il mio racconto “Attacco alle centrali del lusso!

 

 

 

Quando sua madre uscì dalla camera, Katia inserì il cd nel lettore. Amava sentire quella canzone in francese. Non conosceva il francese, solo qualche parola, ma ne percepiva il significato: sì, la felicità, la gioia è una cosa seria. Ora, invece, aveva voglia di divertirsi. Le cose serie le avrebbe lasciate a tempi migliori, quando avrebbe avuto bisogno di qualcuno al proprio fianco. Avrebbe lasciato che lui le accarezzasse la soffice pelle, le imprigionasse i capelli tra le dita, le sussurrasse le più dolci parole d’amore. Ora il fremito le percorreva il corpo per il desiderio di azione, aveva i muscoli guizzanti e la mente sveglia. Prima che il sonnifero della quotidianità le distruggesse la fiamma che ardeva dentro di lei e che vibrava vibrava in un vortice di rabbia.

Un giorno Carmela – oh, sì, erano diventate proprio buone amiche – era arrivata a casa sua tutta contenta. Le aveva trovato un lavoretto come impiegata presso la sua stessa azienda. Il lavoro come impiegata le permetteva di fare il minimo sforzo per essere comunque attiva anche nel bilancio familiare, ma odiava la routine, le solite piccole cose, come il saluto all’usciere o il sorriso mattiniero dell’impiegato che segretamente la corteggiava di sguardi allusivi, il prendere il caffè alla solita ora o lo scambio di battute con le altre impiegate, il tipo che magari si fermava a parlare e se ne stava ore a farle i complimenti.

Guardava l’abitudine snodarsi come un lungo serpente. Non comprendeva quei luoghi comuni, quell’affaccendarsi incessantemente inutile. Giorni e giorni sempre uguali a perpetuare la noia. Come facevano gli altri a sopportare un lavoro, lo stesso, lo stesso lavoro per tanti anni, continuamente? Si immaginava vecchia, allo stesso tavolo da impiegata, invecchiata di venti, trenta anni e non si capacitava della fatica e dello sgomento che avrebbe provato la stessa persona, quando si sarebbe pian piano accorta che altre persone, più giovani, l’avrebbero sostituita. Le cominciava una paura folla e si controllava quelle poche rughe che iniziavano a comparirle intorno alla bocca; un’agitazione la spingeva ad andare al bagno e a guardarsi allo specchio. Lo specchio le rimandava l’immagine di una donna bella e forte, il naso all’insù, molto francese. Faceva le smorfie con la bocca; si trovava decisamente bella, si caricava come con una sniffata di roba; poteva ritornare a sedersi al suo tavolo e continuare a sorridere falsamente. Lei non avrebbe continuato a vivere in quel modo. Quel lavoro non sarebbe stato per sempre. Qualcosa sarebbe cambiato; doveva cambiare.

Contava i minuti, i secondi, i ticchettii e aspettava il segnale.

 

 

(continua)

 

 

 

L’INDIFFERENZAultima modifica: 2009-10-29T08:51:00+01:00da
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