CHI DICE DONNA

MATERNITÀ UNIVERSALE

Mi piace molto l’idea di una maternità universale.

E che ci sia la possibilità di un’indennità di maternità universale.

Fare figli non è un privilegio: è la grandiosità della natura che si rinnova nella sua umana universalità, in cui tutti siamo immersi e di cui noi donne siamo messaggere (e qui, Limi, davvero siamo ‘audaci’).

 

 

Continua il mio Un viaggio in Inghilterra

Alessia si è fidata, ancora una volta e ancora una volta è capitata dentro un bel guaio. Qualcuno potrebbe dire che è sfortunata, secondo me è un po’ sprovveduta…

Mi sa che la ragazza deve cambiare…

 

 

 

UN VIAGGIO IN INGHILTERRA

 

Continua dal post precedente,

 

Si precipitò verso il bancone a chiamare il ragazzotto che le aveva accompagnate.

Chiama un’ambulanza, sta male!”, gli gridò in faccia. Quello se ne stava indeciso, passò un secondo interminabile, poi vide il volto sconvolto di Alessia che lo implorava. Prese il telefono per chiamare il pronto soccorso, ma continuava a rimanere imbambolato; Alessia gli strappò il telefono dalle mani: “Venite, presto, c’è una ragazza svenuta… , sì… ha preso un colpo… forse nella testa… La via?… sì…via dei Glicini numero…”.

Gli rivolse uno sguardo implorante.

… ventiquattro”, le suggerì il ragazzo, visibilmente scosso.

Dopo qualche minuto d’interminabile attesa arrivò l’ambulanza.

Deborah se ne stava ancora distesa, esanime. Pochi attimi per controllare le pupille e il battito e per valutarne la gravità…

***

 

Arrivò a casa distrutta e così stanca che dovette sedersi per riprendere coscienza di quanto le era successo. La polizia le aveva fatto un piccolo interrogatorio mentre se ne stava nella sala d’attesa in ospedale, ad aspettare una risposta da parte dei medici sulle condizioni dell’amica.

Poi i medici l’avevano rassicurata: si trattava solo di un piccolo ematoma che avevano asportato per evitare complicazioni, ma si sarebbe ripresa e stava bene. Si trovava in terapia intensiva e comunque in quel momento non sarebbe servito a nulla rimanere in ospedale.

Carlo, che si era precipitato da lei non appena era stato informato di quello che era successo, la accompagnò a casa. Non ebbe il coraggio di dire una parola.

“Scusami per Jack…, l’avevo richiamato per alcuni clienti fastidiosi qui al locale, … non avrei mai immaginato, non era mai capitato…” , si scusò, mentendo perché altre volte nelle feste si era rivelato necessario l’intervento del buttafuori.

Quella mattina entrambi dovevano presentarsi al commissariato per rilasciare alcune dichiarazioni in merito all’accaduto.

“Voi alla festa ci siete andate in maniera autonoma, io non c’entro niente, … d’accordo Alessia? Ho un locale, non mi posso permettere di rovinare tutta la mia attività, ci sono tutte le tue compagne che lavorano, hanno famiglia…, hai capito?”, le disse in maniera autoritaria.

“Va bene” annuì, senza fare resistenza, non aveva voglia di discutere.

“Ti passo a prendere tra due ore”.

Aveva perso anche la cognizione del tempo. Erano le sette della mattina, non aveva chiuso occhio dalla notte precedente e aveva addosso ancora quell’abbigliamento da puttana. Un’infermiera le aveva prestato una magliettona bianca, ma gli stivali stringati all’altezza delle cosce non lasciavano dubbi su quello che aveva fatto in quel locale. Le sembrava di essere guardata con disprezzo da tutti, dai medici, dalle infermiere, dalle persone che transitavano nella sala d’aspetto.

Stronzi!, – avrebbe gridato – Siete voi che ci volete così!

Pensò a Neal. Accantonò il pensiero. Le passavano per la mente le immagini di quegli uomini inebetiti…, non si sarebbe fidata mai più di nessuno. Gli uomini erano stupidi e violenti, incapaci di amare, anche Neal, come tutti gli altri.

Si fece una doccia rilassante e poi si preparò una tazza di tè caldo con biscotti. Quando arrivò Carlo lo fece aspettare in strada.

Al commissariato si separarono; raccontò la versione dei fatti così com’erano accaduti, omettendo dell’invito di Carlo; disse che Deborah l’aveva contattata per sostituire l’amica ammalata e poi dichiarò precisamente cosa era successo.

Il commissario le chiese: “È caduta da sola la sua amica, … è inciampata?”

“No, ha ricevuto un pugno in pieno viso, non direi che è ‘inciampata’”

“Sì, ma è stata lei a lanciarsi addosso al ragazzo”, continuò insistente, “ha perso l’equilibrio”

“No, è venuta verso di me per aiutarmi, quel tipo era ubriaco e stava cercando di abbracciarmi!”, ripetè arrabbiata.

“Avevate bevuto anche voi…”

“No, non abbiamo bevuto nulla”

“Le analisi della sua amica parlano chiaro…, avevate assunto qualche sostanza?”

“No, io no… assolutamente niente”, si sentì tradita.

“La sua amica ha assunto della droga”, leggeva le analisi da un foglio, con gli occhi abbassati, senza tradire alcuna emozione e giudizio.

“Non lo sapevo, non me ne sono accorta…”

“Lo fa anche lei?”, le chiese, come se le avesse domandato il colore degli occhi.

“Io? No, si sbaglia… Non mi sono mai drogata in vita mia!” cominciò a gridare.

“Lo sa che adesso devo fare rapporto, abbiamo trovato della droga in quella casa e il proprietario non ne sa niente e accusa la sua amica di avercela portata… Lei dove lavora?”

“Io non ho fatto nulla, non li conoscevo, mi sono trovata lì per caso…”

Sentiva che tutto cominciava a crollarle addosso.

Uscì dal commissariato senza avere nessun punto fermo e si pentì di esserci andata da sola. Erano ormai le undici, si trovò a girare per la città senza meta, così decise di andare fino in facoltà per trovare almeno qualcuna delle sue amiche ma erano tutte impegnate a lezione e non voleva disturbarle.

Ripensava alle parole del commissario che la invitava ad un periodo di tranquillità lontano dai bambini del nido dove svolgeva il suo tirocinio. Non l’accusava di nulla, ma lei si era sentita colpevole.

Sorrise.

È strano come talvolta persone sconosciute leggano dentro di te meglio di chi ti è vicino, di chi ti genera, di chi ti genera due volte, quando magari s’impadronisce del tuo amore e della tua vita.

Si fermò vicino Prato della Valle. Lì, sul piccolo ponte, a veder scorrere il canale, forse qualche rigagnolo del fiume Brenta o del Bacchiglione…, non ne capiva granché di fiumi, l’acqua era un bene comune ed in fondo il nome era un attributo dato dagli uomini. Gli uomini deviavano i fiumi, li convogliavano, li nominavano. I fiumi pulsavano come vene, si ribellavano talvolta, ma poi, proprio come le vene del nostro corpo, si diramavano in mille rivoli a dissetare la terra.

“Ho sete…, ho sete…”, ricordava quelle tristi parole e tutta la terra e la sua anima bramava e in quelle parole rivedeva il desiderio di vita, ma non solo… il desiderio di qualcos’altro che non riusciva ancora a capire.

Doveva cambiare, che significato aveva prendere quella laurea? Non avrebbe mai lavorato come educatrice, la sua anima tragica mal si conciliava con la necessità di gioia e spensieratezza che avrebbe dovuto trasmettere a quei piccoli bimbi.

Ora aveva sete, e voleva qualcos’altro.

 

(CONTINUA)

 

P.S. qualsiasi fatto, evento narrato in questo racconto è opera di fantasia!

Le foto non hanno alcuna attinenza col racconto e sono tratte in maniera casuale dal web. (particolare de Le tre età della donna di Gustav Klimt)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MATERNITÀ UNIVERSALEultima modifica: 2010-06-28T08:43:00+02:00da
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