CHI DICE DONNA

MI È SPARITA L’IRONIA!

Ieri mi è sparita l’ironia.

Vaneggio per quanto inconsapevolmente, cosciente delle mie complicità assurde con il tempo. Pezzi di cielo si sbriciolano e perdono i contorni le configurazioni del mio essere. È strano quello che sto pensando? Non mi dite che sto sognando, davanti a me si stagliano i rumori assordanti e leggeri della mattina: profumo di caffè e tazze che si urtano inconsapevoli.

Mi sfilo dalle lenzuola e l’aria fredda mi arriva alle narici; i piedi sul nudo pavimento lasciano tracce vaporose che si dileguano nel bagno.

Dov’è finita la mia ironia? Giù…nel tubo del lavandino e per quanto mi stia dannando non riesco a recuperarla… E’ bastata un po’ d’acqua fredda sul mio viso e l’ironia è caduta giù.

Vi avverto, c’ho provato pure con lo spazzolino da denti, ma non sono riuscita a tirarla fuori.

E’ comunque lì ferma, la mia ironia, vaporosa, leggera, per quanto consistente, dentro il tubo del lavandino.

Posso rimanere senza ironia?

Non credo, una visione tragica è troppo dura da sopportare…

Berlusconi non mi fa più ridere. E questo è veramente tragico…

Il raccontino che segue è tragico…

Mi immagino… i riassestamenti di vestiti dopo la prostituzione di turno… tragici…

 

 

 

da L’orecchino – part II – tragica :))*


Anna aveva iniziato a collaborare con il giornale, in una rubrica intitolata “La posta di Emma”, una piccola rubrica settimanale, con la quale dispensava alle lettrici femminili consigli di galateo e di moda.

Il nome, Emma, lo aveva ereditato da una nobildonna ebrea che l’aveva preceduta e che aveva condotto la rubrica sino a quando le nuove leggi sugli ebrei non l’avevano costretta a partire e a rifugiarsi in Svizzera.

Anna era arrivata a Roma, grazie a Giovanni, un nobile romano decaduto, che si era invaghito di lei e dei suoi quadri e che l’aveva convinta a venire a Roma perché si diceva che il nuovo governo avesse bisogno di artisti nuovi in grado di dar lustro all’arte italiana: erano i primi anni ’30.

Qui aveva cominciato a frequentare i salotti aristocratici e si era subito sparsa la voce della sua bravura come ritrattista; le nobildonne volevano a tutti i costi un ritratto come simbolo di ricchezza e aristocrazia e Anna, d’altra parte, sapeva come renderle belle senza declassare il suo modo di dipingere. Certo non le interessavano quelle insulsaggini filosofiche sulla pittura come arte, per lei era una fonte di guadagno, un lavoro sicuro che le piaceva, che la rendeva indipendente anche dal punto di vista economico.

Alberto invece era un incidente, si rendeva conto, e non solo perché era già sposato.

Non apparteneva al suo ambiente; era segretario di un partito locale e veniva al giornale dove lei lavorava perché il direttore era un amico dei tempi dell’Università e vi collaborava saltuariamente, scrivendo articoli politici che Anna non condivideva affatto.

Tutto quell’affaccendarsi per la povera gente, priva di ingegno e valori, morti di fame per inettitudine e incapacità, lei non lo capiva.

Alberto la incuriosiva.

Certo, la bellezza era impressionante in quell’uomo, ma quel che la colpì fu il suo modo di fare, ironico e indifferente.

Quando nella sede del Giornale gli era apparsa davanti, l’aveva osservata con curiosità, quasi fosse un’animale di razza mai vista.

“Dov’è il Direttore?”, aveva chiesto Anna, appena arrivata in redazione. Si era portata volutamente la mano tra i capelli per aggiustarsi qualche ciuffo ribelle e far ammirare i suoi grandi occhi azzurri.

“Da dove spunta questa?”, Alberto si rivolse ironico all’uomo occhialuto che se ne stava comodamente seduto e che appariva intimidito e goffo davanti ad Anna.

Amedeo, così si chiamava il panciuto signore, era il vicedirettore e alzandosi di scatto, con fare ossequioso, rivolgendosi a Anna, la invitò: “Venga, Signora, è uno stupido ignorante. Il direttore la sta aspettando.”

E fece un gesto stizzoso ad Alberto per zittirlo.

Lei gli aveva lanciato un’occhiata lusingata, facendo ondeggiare volutamente le anche.

Quel tailleur giocava la sua partita migliore, così stretto e avvolgente nei punti giusti… E lui sembrava il tipo di uomo non indifferente allo sguardo femminile.

Non se l’aspettava, invece Alberto arrivò dopo neanche un mese nel suo studio.

D’altra parte avevano rare occasioni di incontro. Portava gli articoli in redazione una volta alla settimana e li lasciava il più delle volte nell’ufficio del direttore.

“Posso entrare?”

Se l’era ritrovato davanti così.

“Non pensavo saresti venuto…”

“Certo, non te l’aspettavi…, perché sono sposato?”

“Non pensavo a questo. Credevo disprezzassi il mio lavoro, tu così preso dalla politica, dai grandi problemi ed io…”, accennò al pennello ancora intriso di colore che teneva nella mano, “… scrivo e parlo di moda; delle maniere e delle posate giuste nei ricevimenti. Ma tu… sei venuto per un ritratto?”

“Non mi fai entrare?”

Era già entrato.

“Entra pure, non scandalizzarti…”, rispose lei furbescamente, sollevando le braccia per raccogliere i lunghi capelli, che aveva lasciato dispersi fino ai fianchi, e fargli intravedere la linea del collo. Non si era lasciata influenzare dal taglio che andava di moda a quei tempi, il taglio alla garconne, il cosiddetto taglio alla ‘maschietta’, corto e sbarazzino.

Lui si girò, fingendo indifferenza, a guardare la modella che se ne stava comodamente seduta sul divano e che Anna stava ritraendo.

“Non immaginavo il materiale con il quale lavori…, sarei venuto più spesso” e lo disse lanciando uno sguardo ironico alla ragazza, immobile nella sua posa.

“In realtà sono venuto per un motivo particolare”- il tono si fece serio – “dovrei parlarti, ma… da soli…”

“Finisco allora, devo dare solo ultimi ritocchi…”, si era così avvicinata alla grande tela, davanti alla modella che se ne stava armoniosamente distesa su un piccolo sofà rosso, nuda, con un leggero velo bianco sul pube, che lasciava comunque immaginare la nera peluria.

Alberto alla vista di quell’immagine sensuale si era eccitato e Anna lo aveva intuito; in effetti la ragazza era veramente bella nel contrasto di colori del bianco della pelle sul rosso del velluto e i capelli neri che scendevano armoniosamente sulle spalle.

Di solito Anna preferiva lavorare in completo silenzio e solitudine e non si faceva distrarre quando dipingeva; usava dosare con accuratezza i colori per dipingere i profili delicati e le trasparenze ma ora Alberto, con la scusa di guardarla dipingere, le si era accostato e aveva cominciato a baciarla delicatamente sul collo, incurante della presenza della modella, anzi, maggiormente eccitato, le aveva infilato una mano nel largo camicione, fino a prenderle il seno e stuzzicarlo.

Concentrata nel lavoro, Anna si lasciava dare questi baci innocui, quasi scherzosi e fingeva indifferenza sperando di non lasciar passare alcun fremito del corpo.

Aveva continuato a stringerla ed accarezzarla con una mano e con l’altra cercava di sbottonarsi i pantaloni. Anna l’avrebbe fermato se la situazione non fosse stata così assurda e carica di tensione e il suo tentativo così maldestro. Sentì poi le sue mani tirare su velocemente il camice e allora non riuscì a fare a meno di girarsi e di baciarlo perché sentiva di essere attratta da lui come poche volte lo era stata e lo baciò intensamente.

Si lasciò trasportare dai sensi.

La modella si rivestì e, guardando quei corpi attorcigliati e ansimanti pensò che la vita era proprio strana e a quanto fossero pervertiti quei spocchiosi aristocratici anticonformisti.

Sentì la porta chiudersi. Anna non aveva mai fatto l’amore con un uomo in quel modo. Sapeva di essersi lasciata travolgere senza pudore ed ora se ne stava zitta, mentre continuava ad accarezzarla.

Alberto, accanto a lei, cominciò ad osservare la stanza, in un modo che la preoccupava perché sembrava soppesare ogni millimetro come se dovesse memorizzarlo per chissà quale motivo.

Si mise seduto.

“E’ qui che abiti?”

“No, questo è il mio studio. Abito vicino alla sede del giornale, sul Lungotevere, è un appartamento piccolo, ma per me che sono sola è sufficiente. Perché me lo chiedi?”

“Per curiosità, mi piace il tuo odore, l’odore acre che c’è in questa stanza”

“E’ l’odore della trementina, certe volte ne esco ubriaca”.

Lui riprese ad accarezzarla.

“Sono venuto per chiederti un piacere, però non devi farlo… se non te la senti.

I lavoratori sono alla fame…”

Anche Anna aveva sentito la notizia degli scioperi che erano stati sedati nel sangue.

Continuò: “Noi non sappiamo come aiutarli. La nostra sede è stata distrutta e siamo costretti alla clandestinità; anche i giornali sono obbligati a pubblicare solo le notizie che il governo autorizza.

I cittadini hanno paura delle squadre che di notte vanno a trovare con spranghe e manganelli chi manifesta anche il più piccolo dissenso. Amedeo, il vicedirettore, è uno dei capi di queste squadre”

Anna non riusciva ad immaginare quel pancione a capo di qualche squadra violenta.

“Dovresti informarmi quando qualcuno lo viene a trovare lì nella sede del giornale. Sappiamo che vanno lì dentro a ricevere le istruzioni per le missioni notturne. Amedeo è il primo ad avere certe notizie e le sfrutta a suo favore…”

Quello che le chiedeva era di fare la spia.

Anna non potè rispondergli.

Alberto capì tutto il giorno in cui lei lo lasciò. La loro storia cominciava ad essere pesante per lei, insopportabile una storia con un uomo che non si decideva a lasciare la propria moglie per l’amante.

Se n’era andato quando Anna, dopo aver fatto l’amore, gli aveva detto che continuare così non sarebbe stato possibile e lui aveva preferito andarsene senza recriminare o chiedere nulla.

In strada però non fece tempo a svoltare a quell’angolo che lo avrebbe allontanato per sempre da lei.

Il sudore, il caldo, una smania improvvisa: doveva correre e tornare indietro.

Rifece la strada di corsa, il portone del grande caseggiato era ancora aperto così come l’aveva lasciato ed entrando nel grande atrio delle scale, una folata di aria fresca lo costrinse a fermarsi per prendere il respiro.

Se lei lo avesse nuovamente respinto?

Si appoggiò al muro. Sentì il rumore di una porta che si apriva, alcuni passi che scendevano dalle scale.

Non aveva tempo di pensare, si infilò nell’ascensore e salì fino al piano di Anna.

Bussò alla sua porta; quando Anna aprì se lo trovò davanti e si lasciò andare tra le sue braccia.

Le prese il viso tra le mani, ma il suo sguardo fu attirato da alcuni rumori interni all’appartamento: Anna non era da sola ma, dentro, nella stanza, seduto al tavolo, c’era Amedeo con i suoi uomini.

Vide il sorriso strano e lo stupore di Anna che cercava di giustificare la loro presenza, ma ormai aveva capito tutto: Anna era una di loro.

 

 

* il raccontino fa parte di un racconto più ampio ma può vivere di vita propria.

** la foto è tratta dal web e non ha alcuna attinenza con il racconto.

 

 

 

 

 

 

MI È SPARITA L’IRONIA!ultima modifica: 2010-09-09T08:53:00+02:00da
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