CHI DICE DONNA

RACCONTO IN COSTR(…)ZIONE

Senza ironia sono più leggera.

Per questo ho cercato di indossare abiti pesanti. Naturalmente non ho ancora indossato il burqa visto gli effetti e le ultime dichiarazioni contro di esso. E diciamolo, che il burqa non è divertente!

 

L’ironia è pesante da sopportare, … Senza si sta meglio.

Ad es. quando ho sentito la notizia del peschereccio attaccato a mitragliate dai libici che avevano pensato fossero  clandestini ho colto subito la notizia.

Ah, si possono accoppare i clandestini! Questa è la notizia, e… senza ironia.

 

 

RACCONTO IN COSTR(…)ZIONE

RIPASSARE

 

 

La bellissima macchina decappottabile sfrecciava nella strada.

I capelli fluenti della ragazza si muovevano nel vento, l’aria fresca della mattina le entrava nei polmoni.

Libertà si stagliava all’orizzonte: il cielo, il mare, la strada correva diritta, fiancheggiando la costa. Il sole stava crescendo nel cielo e s’arrischiava a raggiungerle le labbra, a sfiorarle il viso, a riscaldare la pelle bianca che fremeva ora di brividi di freddo ora di un tepore che le alimentava i sensi.

Tutto percepiva, come se il suo corpo anelasse alla vita.

La strada correva. Di mattina all’alba pensò a quello che aveva lasciato, alla porta chiusa alle sue spalle.

La madre l’aveva salutata alla porta di casa dopo averle detto: “Vai e fa’ la poeta“, e poi non ricordò più il suo nome, il nome della madre, del padre, del fratello e della sorella.

Il nulla dietro di sé, dimenticato.

Davanti la strada correva, deserta, fiancheggiata dalla natura. Ora piccole colline, ora uno svincolo improvviso, ora una deviazione verso una meta lontana. Lei correva, sicura, il mondo aveva davanti a sé.

Non doveva raggiungere alcun posto, nessun luogo da visitare, nessuna persona da incontrare.

Si fece così la notte.

Si accorse delle piccole luci in lontananza. Piccole case dai tetti colorati, mura di bianca pasta frolla e pensò alla dolcezza del latte, immagini di comunanza familiare, odori di pasti condivisi, il calore delle pentole sul fuoco e sentì la solitudine.

Accostò.

Dal ciglio della strada vide una piccola casetta. Aveva un giardino, piccolo, chiuso dal cancello. La porta era un rosso acceso, attorniata da magnolie lucenti, apriva a sogni felici.

Decise che ci avrebbe passato la notte.

Bussò.

Alla porta apparve un uomo, capelli profumati, il corpo giovane. La fece accomodare: quella donna scelse come compagna. Lei fece altrettanto. Non occorrevano parole. S’abbracciarono e perdutamente s’amarono. Fecero l’amore con il corpo, con la mente. Disegnavano strani fantasie sul cielo e tutte si libravano, come nuvole ripiene di felicità.

“Dimmi chi sei”, le chiedeva.

E lei gli raccontava la storia della sua breve vita senza di lui.

“Dimmi chi sei”, gli chiedeva.

E lui le raccontava la storia della sua breve vita senza di lei.

Una poeta non può che vivere da poeta e mangiare tempo come se fosse pane.

Il tempo trascorreva. Al muro la donna vide apparire immagini spezzate: un velo bianco, sorrisi di bimbi, abbracci fugaci con il compagno e più la stanza si riempiva, più si sentiva vuota.

Costruiva ogni giorno poesie da spedire come lettere al cielo. Illuminava di sogni le stanze, sempre più colme di strani oggetti. Una culla, giochi di plastica colorata, ed un giorno comparve uno strano oggetto che emanava suoni e immagini, imprigionati dentro, rimpiccioliti. Cominciò a pensare che le sue poesie alimentassero quello strano oggetto e smise di fare la poeta.

Cominciò piano.

Vide le porte nelle stanze. Sentiva ora l’abbraccio fastidioso del compagno.

Oh, quanto fosse cambiata anche lei non s’era accorta!

Un giorno nel piccolo giardino attraverso il cancello entrò un viandante. Parlava una strana lingua, non lo capiva.

Le chiese: “Dimmi se sei felice. Se non sei felice, vieni via con me”

Lei rispose: “Guarda quel cielo, sopra te. È immenso. Può racchiudere l’intero mondo nel suo abbraccio. Possiamo noi osservare solo un pezzo di esso. Da altre parti sta giungendo la notte e altri occhi osserveranno impazienti nello stesso, per coglierci segnali, per tracciarci vie da percorrere.

La mia è quella di un altro. È un pezzo di cielo che non ha fine e la mia felicità è parte di questo. Mi chiedi della mia felicità, quando non posso non essere felice. Alle mie spalle, dietro la porta solo oggetti, ma dentro di me c’è solo amore e non sarà una partenza a cambiare le cose in questa casa”

Il viandante capì, non parlava la sua lingua, ma comprese il suo sguardo e se ne andò.

Lei richiuse la porta alle spalle. Guardò l’immagine sullo specchio. I riflessi d’argento dei capelli brillavano quanto gli occhi.

Entrò nella stanza. Sua figlia le chiese: “Mamma, chi era?”

“Un viandante”, rispose.

Si avvicinò alla culla. Posò un lieve bacio sulla piccola testa del bimbo che dormiva dolcemente.

Si sedette al tavolo. Bevve insieme alla figlia.

La figlia le chiese: “Mamma, mi racconti del giorno in cui partisti per fare la poeta?”

“Sì”, rispose la donna, “Ma per raccontarlo dovrò fare una cosa”

Andò nel retro del piccolo giardino. La decapottabile era ancora lì, ricoperta da un telone bianco. Lo sfilò e comparve ancora la macchina magnifica. Salì in macchina, ma era solo un oggetto e come tutti gli oggetti si arrendono al tempo e non volle mettersi in moto.

Non si perse d’animo.

Entrò in casa, prese un piccolo marsupio di stoffa, raccolse dalla culla il bimbo e se lo caricò sulle spalle e lui continuò a sognare dolci mammelle…

Poi insieme alla figlia più grande uscì dalla casa. Si mise seduta ad aspettare.

Stava avvicinandosi alla casa, vi stava rientrando. La vide seduta con i figli in braccio e capì. Lo aveva sentito arrivare questo momento, sapeva che un giorno, prima o poi, sarebbe partita.

L’aveva sempre saputo, dal momento in cui si era avvicinata ed era entrata in quella casa e l’aveva vista sulla soglia, con la felicità dentro di sé.

“Andiamo”, gli disse la donna quando le fu vicino.

Lui allora sorrise.

Raccolse dalla donna il bambino e se lo caricò sulle spalle. Il bimbo continuò a sognare dolci mammelle…

Si avviarono verso la strada.

Un altro giorno all’orizzonte.

Erano in un viaggio senza meta, senza luoghi da raggiungere. Non ricordavano quello che avevano lasciato. Solo oggetti, una casa inutile, nessuno da dimenticare.

Mentre camminavano – la figlia davanti che batteva la strada correndo nelle sue ancora fragili gambe – lui si volse a guardarla.

Temevo te ne andassi da sola…

 

 

 

RACCONTO IN COSTR(…)ZIONEultima modifica: 2010-09-16T15:35:00+02:00da
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