CHI DICE DONNA

UNA TOPONOMASTICA DI TROPPO!

E così cerco di tornare alla prima funzione di questo blog, pensato inizialmente per farmi ritrovare la voglia di scrivere in maniera metodica. Ricomincio con un racconto, che parla in maniera “romanzata” di un gruppo sorto su facebook, quello di Toponomastica femminile,  che nasce nel 2011 con l’idea di impostare ricerche, pubblicare dati e fare pressioni su ogni singolo territorio affinché strade, piazze, giardini e luoghi urbani in senso lato, siano dedicati alle donne per compensare l’evidente sessismo che caratterizza l’attuale odonomastica (branca della toponomastica).

Il racconto s’intitola:

 

UNA TOPONOMASTICA DI TROPPO!

 

Il colore nero del rimmel cadde, per un movimento impercettibile delle ciglia, sulla camicia bianca.

Elena imprecò in una lingua sconosciuta. Ritornò in camera e s’infilò un’altra camicetta scelta tra quelle appese nell’armadio.

Come ogni mattina si alzava presto per andare al lavoro. Camicia perfettamente stirata, infilata dentro i pantaloni neri che le pennellavano i fianchi. Indossò la giacca e diede una sbirciatina allo specchio per ripassare velocemente sulle labbra il gloss incolore.

Era iniziata così quella mattina, con una macchia nera di rimmel che aveva tinto di negatività il suo principio. Uscì, non senza aver baciato lievemente i figli Marco e Matteo. Le piccole teste ribelli dormivano, cullate nel sonno. Era domenica e non dovevano svegliarsi per andare a scuola.

Impiegò pochi minuti per arrivare presso il palazzo municipale dove aveva sede la Polizia locale.

Come il solito era la prima ad arrivare.

Ultimamente era restia ad entrare e aspettava gli altri due colleghi e il comandante. Erano capitati alcuni furti proprio nella sede del municipio e non aveva voglia di trovarsi a faccia a faccia con qualche ladruncolo. Faceva un freddo maledetto e la nebbia pungente rendeva tutto spettrale.

Arrivò Mario di corsa. Anche lui aveva una famiglia numerosa e lo immaginava alle prese con i suoi quattro figli e la moglie, una persona con la testa sempre tra le nuvole, con mille idee creative ma tutte poco remunerative, per cui Mario era costretto a orari straordinari per barcamenarsi nel menage familiare con lo stipendio sottopagato da vigile urbano.

Era profondamente innamorato della consorte e apprezzava tutte le sue opere artistiche: la sede della polizia municipale si era trasformata in una piccola galleria dove poter godere nei dipinti colorati lo sguardo ebete del marito che osannava la genialità della consorte dinnanzi agli ignavi visitatori del comando di polizia municipale, ai quali certamente non importava nulla della bellezza dell’arte muliebre.

“Mai puntuale?”, lo apostrofò malamente, “lo sai che non mi piace stare fuori al freddo.”

Mario la guardò, percependo subito il nervosismo della dolce collega. Anna era una compagna di lavoro perfetta, ma il suo rigore rasentava l’ossessione e la paranoia. Pensò che era meglio passare subito al piano di lavoro.

Era piuttosto insolito vedere qualcuno a quell’ora di mattina in ufficio, la domenica, giornata utilizzata per andare a messa e non certo appresso gli uffici della polizia locale.

La vecchina che entrò sembrava piuttosto agitata.

“E’ scomparsa!”

“Chi è scomparso? Si calmi e si sieda qui”, chiese Anna.

Anna la fece accomodare sulla sedia. “Vuole bere qualcosa prima di parlare?”, chiese alla poveretta tutta paonazza in viso. La vecchietta sarà stata alta più o meno un metro e cinquanta e sembrava così gracile che Anna aveva paura facesse un colpo.

“La signora Delia!”, disse invece quella con la voce di chi certo non sta per morire.

La professoressa Delia Rossi veniva chiamata grapìa per la sua aria perenne da vecchia anche quando era una deliziosa trentenne. A parte questo difetto, era una professoressa amata da tutti, sempre impegnata in nuovi progetti, in movimento continuo, anche in pensione. Una donna politicamente attiva, in ogni questione della sua città. E una cittadina perfetta che sapeva come stare al mondo e relazionare con tutti i tipi di persone. Abitava proprio in via Mazzini, situata nel centro della città.

Qualche giorno prima l’aveva incontrata per strada e sembrava proprio in ottima forma.

Le aveva chiesto come stava e aveva risposto che era di corsa perché quel giorno ci doveva essere la prima seduta della Commissione di toponomastica del comune, della quale finalmente era stata nominata come componente grazie al suo lavoro con Toponomastica femminile, un gruppo che si era costituito su facebook e di cui lei era diventata Referente regionale.

Era tutta trafelata, con i suoi rossi capelli ricci avvinazzati dall’aria umida del mattino e che ricadevano informi sul naso appuntito.

“Ho tante belle idee, tanti nomi per le nostre strade. Tu non immagini quante donne sono state dimenticate, donne importanti, alle quali non è stato dedicato nulla! E tu mi dovrai aiutare!”, le aveva intimato col dito, come faceva quando era insegnante e la sgridava perché non aveva studiato.

“Certamente! Sempre a sua disposizione, professoressa!”

La salutò con un sorriso, mentre la professoressa tentava di tenere tra le mani una borsa piena di scartoffie; non le rivelò che non aveva capito niente di quello che voleva farle fare.

La sua scomparsa ora la colpiva  profondamente.

In effetti, la professoressa si era ben presto mobilitata e dopo qualche mese da quell’incontro, in realtà comprese il motivo per cui aveva chiesto il suo aiuto. Voleva intitolare le strade alle donne, una cosa a cui non aveva mai prestato attenzione…

(CONTINUA)

 

UNA TOPONOMASTICA DI TROPPO!ultima modifica: 2014-06-08T14:26:41+02:00da
Reposta per primo quest’articolo