CHI DICE DONNA

Papà, tra poco è Natale!

Polemica di questi giorni il presepio, quello con le statuine della Madonna, di Giuseppe e del Bambin Gesù. Secondo alcuni sarebbe ipocrita farlo, altri invece pensano sia tradizione e simbolo di cristianità.

I simboli sono potenti, lanciano messaggi fortemente semplificati, in grado di raggiungere tutti, bambini e adulti, quindi, ignorare la potenza del presepe e di quello che significa sarebbe da ipocriti. Eppure, come dare dell’ipocrita a chi intraprende un viaggio nella sua costruzione, in chi acquista, forgia materiale vario per addobbare il proprio Natale con la bellezza di un paesaggio che narra un viaggio religioso, attraverso vie impervie, per arrivare alla nascita di qualcosa che ci congiunge con il cielo?

Ipocrita allora è anche il velo bianco all’altare, la cura della salma, qualsiasi rituale abbellisca momenti significativi della vita umana e religiosa.

Per fare il presepe, in fondo, serve un uomo, una donna e il cielo stellato… il bambino, prima o poi, arriverà e quel giorno sarà Natale.

Lanciare messaggi provocatori ci fa riflettere e apprezzare qualcosa che magari sembra un vecchio soprammobile, una capanna decadente, ricca però di significati come quella che narro in questo mio breve racconto. Lo trovate anche nel mio profilo su Il mio libro.

 

PAPA’, TRA POCO E’ NATALE!

Da un po’ di giorni si trovavano al freddo, Maurizio e suo padre.

Gli aveva chiesto insistentemente il motivo dei termosifoni spenti in quei giorni di dicembre in cui, affacciandosi alla finestra, il vapore del respiro sul vetro lasciava strane scie e impronte. Era arrivato al punto di desiderare che facesse presto mattina per andare a scuola e godere insieme agli amici un po’ di tepore. Non aveva il coraggio di confidarsi con nessuno e si accontentava della felicità di stare insieme ai compagni di scuola.

Aveva chiesto di essere spostato proprio nel banco vicino al termosifone, quello odiato da tutti perché ad una certa ora il calore era così insopportabile che chiunque si sarebbe infastidito. Maurizio no, si beatificava delle goccioline di sudore che gli scorrevano sulla schiena, immagazzinando il calore che avrebbe poi irradiato per il resto della giornata.

Tutto era cominciato dopo quel maledetto giorno in cui aveva perso sua madre: se n’era andata via per sempre. L’aveva salutata una mattina, che doveva andare all’ospedale per una visita. Un bacio veloce sulla guancia, la mano fredda di sua madre: come poteva perdonarsi di non essere stato attento, di non averla abbracciata un’ultima volta!

Anzi, con fastidio, l’aveva scostata con la mano, quando aveva provato a raddrizzargli il ciuffo indomito davanti agli occhi. Una lacrima gli scivolò giù sul quaderno dove cercava un po’ di concentrazione per fare i compiti. La riviveva negli abbracci, nei dolci di cioccolato, nei caldi budini del pomeriggio e si arrabbiò perché non ricordava il colore degli occhi, ma lo sguardo intenso e il sorriso. Si alzò e andò a prendere la fotografia di sua madre, candida col velo sul capo e sorridente il giorno delle nozze con suo padre. Com’era bella! Gli occhi erano di color nocciola, come i suoi.

Sentì il morso della fame. Appoggiò con cura la foto e andò in cucina. Aprì il frigorifero ma come il solito non c’era nulla. Qualche bottiglia di latte, una confezione di uova. Se ci fosse stata la mamma!

Ormai il padre viveva nel suo mondo, non si curava di lui, non gli preparava la cena e non gli faceva trovare nulla da mangiare. Andava a lavorare in fabbrica e tornava distrutto dalla fatica; quando arrivava si buttava nel letto e non si sarebbe alzato fino alla mattina seguente. Guardò l’orologio, erano appena le dieci della sera, ma non avrebbe sopportato oltre di restare senza mangiare.

Aprì la dispensa: dentro c’era una scatola di passata di pomodoro e un po’ di pasta e decise di prepararsi la pastasciutta. Si era stupito della sua capacità di imparare in cucina attraverso i ricordi della vita con sua madre. Mettere a bollire l’acqua nella pentola, un’impresa la prima volta che aveva provato; poi lei che metteva il sugo nel pentolino e lo versava dentro il pentolone con la pasta e mescolava, mescolava…

Quando ebbe finito di mangiare si buttò così vestito sul letto e cominciò a pensare.

Doveva far qualcosa per cambiare quella situazione. Forse se avesse trovato un lavoro, con il padre avrebbe cominciato a parlare. Dal funerale avevano scambiato qualche parola, era un rimprovero, gli pareva, come se il padre lo accusasse: “Perché non sei morto tu, invece di tua madre?”

Sentì aprire la porta, suo padre era rientrato.

Si alzò per andargli incontro e salutarlo: «Papà, se vuoi c’è ancora un po’ di pastasciutta sulla pentola, te la scaldo un po’?»

Giuseppe sospirò: «Sì, certo, ho proprio fame, bravo Maurizio.»

Maurizio volò in cucina e cominciò a scaldare la spaghettata, ringraziando il cielo di aver sbagliato la dose della pasta e di averla lasciata nella pentola.

Preparò velocemente la tavola e vide suo padre arrivare e sedersi, proprio come un tempo.

Gli porse il piatto e si sedette accanto.

Giuseppe cominciò a mangiare avidamente: «Buona, davvero!», gli sorrise.

Maurizio sentì dentro di sé una felicità immensa e si fece coraggio.

«Papà, tra poco è Natale, sai cosa vorrei…», disse, abbassando gli occhi.

Non lo vide arrivare. Il ceffone gli si stampò in pieno viso.

«Sei uno stupido! Hai il coraggio di pensare al Natale quando tua madre è morta da un mese?»

«Ma papà, domani…» gli rispose Maurizio, piangendo sommessamente per il dolore al viso e al cuore.

«Vai via, vattene, non hai rispetto», suo padre gli intimò quasi sibilando, alzandosi in piedi.

Maurizio si alzò, indietreggiando fino alla porta e poi oltre, fino in camera sua. Si sentiva come svuotato e si buttò sul letto. Pianse da solo così tanto che al mattino si ritrovò con gli occhi gonfi e con difficoltà si alzò per andare a scuola; doveva andarci, per salutare gli amici e scambiare gli auguri di Natale prima delle vacanze. Aveva sentito suo padre uscire la mattina presto, avrebbe voluto scusarsi e dirgli quanto era stato egoista, ma non aveva trovato la forza.

Si vestì svogliatamente e andò a scuola; la mattina trascorse veloce festeggiando con panettoni, bibite e i professori che pregustavano l’aria felice delle feste. All’una si ritrovò in piazza, preso da un’incredibile solitudine. Si mise a bighellonare per le strade, illuminate a festa, il rosso e l’oro che brillavano nelle case e nei monumenti, i negozi pieni di cose belle. “Mamma, perché?”, si chiedeva e quasi cresceva in lui un sentimento di accusa contro la madre che li aveva lasciati soli, anzi da solo.

A casa, intanto, Giuseppe si era fermato a contemplare il lavoro, ma iniziava a preoccuparsi, si stava facendo tardi. Guardò l’orologio: erano le otto della sera e Maurizio non era ancora arrivato. Ancora qualche minuto e poi sarebbe uscito per cercarlo.

Maledizione, perché l’ho trattato in quel modo? Dio, pensò, aiutami tu…

In quel momento, nel turbinio dei pensieri, sentì che qualcuno apriva la porta. Tirò un sospiro di sollievo e continuò il lavoro.

Maurizio entrò nella grande casa, lo avvolse qualcosa ancora di tiepido, un calore familiare. Un rumore proveniva dal salotto. Fece per andare diritto in camera ma passando per la stanza quello che vide lo fece restare senza parole.

Suo padre era chino sotto un piccolo alberello, quello che addobbavano ogni anno con gli stessi balocchi da quando era nato e stava preparando il tradizionale presepe.

Maurizio si fece coraggio e si chinò accanto al padre.

«Papà…»

«Scusa Maurizio per ieri sera», Giuseppe non aveva il coraggio di guardare il figlio negli occhi.

«Non preoccuparti, capisco papà, ti ho capito»

«Sì, lo so che sei un ragazzo in gamba», gli disse Giuseppe, mentre sistemava la mangiatoia dove la statuina del Gesù Bambino sarebbe apparsa alla mezzanotte.

«Ecco, guarda, ho finito!», e Giuseppe cinse con un braccio il figlio.

Maurizio guardò bene il presepe.

«Papà, manca…, manca la statuina della Madonnina…»

«No, Maurizio, non manca. Credo che stanotte scenderà anche lei. Sì, sono sicuro che stanotte la mamma scenderà insieme al Gesù bambino…»

Padre e figlio si abbracciarono stretti.

«Sì», ripeteva Giuseppe, «tra poco è Natale!»

(racconto di Giulia Penzo ©)

Papà, tra poco è Natale!ultima modifica: 2018-12-03T22:43:23+01:00da
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