CHI DICE DONNA

BUON 2024!

 

Buon 2024!

Questo racconto comparirà nel mio blog alla mezzanotte del 31 dicembre, come brindisi virtuale per il nuovo anno.

Cerco solo di continuare la tradizione, lasciando un piccolo racconto, per il 2024.

In realtà fa parte di un racconto molto più lungo in cui Stella è una delle protagoniste.

 

 

STELLA… ovvero la dimenticanza

Da bambina abitava ad Arsiero, in una di quelle case sparse nella montagna vicentina vicino a Contrà Pria, un piccolo lago che potevi scorgere lungo la strada che portava ad Asiago. Amava tuffarsi dalle rocce che lo attorniavano, nonostante sua madre glielo proibisse: “Sono cose da maschi! ti puoi far male!”. Fu lì che lo conobbe. In guerra non bisognava allontanarsi da casa se non per rifugiarsi nei bunker quando c’era avvisaglia di bombardamenti. Era pericoloso andare in giro ma lei non aveva nessuno con cui giocare. Quel giorno di ottobre del ‘44 faceva un caldo maledetto anche lassù ai piedi della montagna. A casa non erano molte le occasioni per lavarsi, doveva badare alle poche bestie rimaste, qualche gallina, mucche per il latte e poi c’erano loro, i partigiani, nascosti sotto il pavimento. La madre sottraeva parte del pranzo o della cena ma non sapeva dove l’avrebbe portato, c’era forse qualche passaggio a lei sconosciuto. Qualche volta le pareva di essere osservata e odiava lavarsi con la paura di essere vista e così andava al lago, si portava anche la liscivia per pulire i vestiti di tutta la famiglia e poi approfittava per rinfrescarsi un po’. Lo incontrò quel giorno che era disteso su una roccia. Non se l’aspettava. Era quasi completamente nudo, le mutande slabbrate ricadevano sulle gambe magre e i pantaloni lavati appoggiati sulla roccia al sole. Gli unici uomini che conosceva erano suo padre e i suoi fratelli, ora partiti per la guerra. Per lei gli uomini erano esseri buffi, nati per farla ridere. Si accorse della sua presenza. “Sei Stella, vero?”. Stella notò i capelli biondi su un viso con un non so che di sfrontato. Capì subito che era uno di loro. Annuì con la testa, senza parlare. “Quanti anni hai?” “Quattordici, e tu?”, gli rispose, con una curiosità che di solito non le apparteneva.
“Ventuno”. “Mio padre dice che non dovete uscire”, alzò il mento per mostrare con superiorità il suo buon senso. “Lo so, ma avevo bisogno di lavarmi, lì sotto stiamo marcendo”.

“Cosa stai facendo?”, lanciò un’occhiata al piccolo quaderno e la matita appoggiata sulla roccia vicino al fianco del ragazzo. “Sto disegnando, vieni, avvicinati”. Stella si sedette sopra un grosso sasso davanti a lui. Raccolse la matita e in un gesto continuo disegnò i capelli arruffati, il naso affilato e la bocca imbronciata di Stella. Con cura strappò il foglio dal quadernetto e glielo porse. La carta era un po’ stropicciata e ingiallita ma il viso di Stella era lì, vivo più che mai, tanto da spaventarla come se avesse colto la sua anima e trasfigurata in quel volto femminile di donna sensuale e per nulla bambina. Si alzò di scatto in piedi e cacciò il foglio in tasca. “Dove vai? Non te piase?”. “Devo andare ad aiutare mia mamma, grazie del disegno” e scappò di corsa. Mentre correva, sapeva che lui la stava osservando e avrebbe voluto che la disegnasse così mentre cercava di correre con grazia, con la gonna svolazzante, i capelli sciolti e la voglia di abbracciarlo. Sì fermò e gli gridò a distanza: “come ti te ciami?”. Lui gli urlò: “Neriiii”. Arrivò a casa con il cuore accelerato, andò in cucina dove c’era sua madre. “Dove sei stata? Sei tutta sudata, vatti a cambiare se non vuoi prenderti un malanno!”. Quello fu il primo di una serie di giorni in cui lei e Neri si incontravano su quelle rocce finché in novembre non venne chiamato a salire sui rifugi in montagna per aiutare i compagni partigiani. Fioccava la neve e Stella guardava sconsolata il paesaggio, suo padre le aveva proibito di uscire, perché si diceva che i nazi sarebbero arrivati e avrebbero razziato e distrutto tutto quello che trovavano, così aveva sentito in paese. Su a Tonezza era stato allestito un campo di concentramento per gli ebrei e una postazione di repubblichini. Quando era stata in paese, aveva visto quel camion partire da Arsiero con dentro quei disgraziati e ora si temeva che dopo la liberazione i tedeschi in fuga avrebbero fatto terra bruciata di tutto quello che incontravano nel loro cammino. Avvenne proprio così. A valle arrivò in primavera la notizia della Liberazione; era stato un inverno di cristallo, duro, al limite della morte per fame ma alla notizia della liberazione, gli abitanti cominciarono ad uscire dalle case, ad accogliere i partigiani che venivano giù dalle montagne. Stella aspettava Neri. Poi giunse la notizia che su, nel paese vicino, i tedeschi nel tentativo di ritirarsi avevano infierito sugli abitanti, lasciati passare dai partigiani. Sentì suo padre maledirli. Stella non ci credeva, sapeva che Neri non avrebbe fatto passare nessuno di quegli assassini. Di mattina presto partì per cercarlo. Lungo la strada incontrò varie camionette di civili, che le urlavano dietro, invitandola a tornare a casa. Ovunque era distruzione, tutti piangevano. Arrivò in paese, le case bruciate, sotto il campanile una piccola folla. I corpi erano distesi in fila e lo vide. La camicia aperta, il sangue rappreso, la sua bellezza era rimasta intatta. “Neriiiii”, si gettò sul cadavere. Cominciò a rovistare nelle tasche. Le persone intorno cercavano di trattenerla, credendo volesse derubare il morto. Sembrava una pazza. Era riuscita a prendere dalla tasca dei pantaloni un quadernetto arrotolato e lo teneva tra le mani, un tizio glielo strappò ma gli si gettò addosso gridando “è mio, è mio!”, con graffi e morsi. “Lasciatela stare, è una bambina”, gridò una donna, impietosita dall’urlo disperato. Era rimasta così a terra, i capelli scarmigliati, lo sguardo perso nel vuoto, con in mano i fogli di carta quasi stracciati. 

Tutto le girava intorno, voleva solo tornare a casa, la folla incuriosita e accalcata toglieva il respiro, sentiva che le forze venivano a mancare, si alzò in piedi e si mise a correre, il sangue fluiva attraverso le gambe, correva attraverso i sentieri conosciuti, la sua meta era il lago perché sapeva cosa fare. Neri l’aveva abbandonata e sentiva che anche quell’essere che stava crescendo dentro di lei ora voleva lasciarla. La trovarono svenuta sulle rocce vicino al lago. La levatrice che la visitò disse alla madre che era stato un aborto spontaneo e che aveva solo bisogno di riprendere le forze, ma Stella, oltre al bambino, quel giorno perse anche la sua voglia di vivere.

(racconto di Giulia Penzo ©)

P.S. le foto sono tratte dal web

BUON 2024!ultima modifica: 2024-01-01T00:01:03+01:00da
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