Vorrei regalare al mondo i miei sogni. Un sogno di uguaglianza e di libertà, talvolta sbattuto dal vento, ma che resiste nel tempo. Ultimamente mi sembra di essere in america ai tempi del Ku Klux Klan e spero non sia vero quello raccontato dal ragazzino nero di Parma, perché se fosse reale l’umiliazione e le botte fisiche che ha provato direi che in Italia si sta degenerando in una forma di razzismo contro il diverso, vuoi per colore della pelle, ma anche per provenienza (vd. rom) o per diverso orientamento sessuale, ma anche perché non conforme ai canoni estetici.
E’ inutile ignorarlo, non farebbe bene alla nostra cultura italiana, ed io che sono educatrice nella GIORNATA MONDIALE DELL’EDUCATORE non posso fare a meno di esplicarlo, di evidenziarlo, anche se può far male a chi crede ancora alla bontà.
Un giorno una persona a me cara disse una cosa che non comprendevo: ” LA GENTE AMA ESSERE TRATTATA MALE E AMA CHI LA MALTRATTA”.
Allora non ci credevo. Forse dipendeva dalla scarsa conoscenza del mondo, ma ora comincio a rifletterci. Lo so…, nel mio cuore non ne sono convinta: credo ancora all’amore disinteressato…però, però…comincia ad avanzare il dubbio.
Spero nella vittoria di Obama: un sogno che si disperde in piccoli soli splendenti nelle mani degli uomini.
Lascio un mio racconto dal titolo “Il sindaco” che tratta questa tematica: un po’ crudele, scusate.
Giulia P.
Il sindaco
– Dammi i soldi!
Intimò l’uomo tarchiato col cappuccio nero all’impiegato dello sportello postale, puntandogli
contro la pistola. Il paese era piccolo. Dentro l’ufficio postale non c’era nessuno, tranne i due
impiegati. Forse uno di loro era il direttore. Anche i malviventi erano due. Uno stava
controllando l’entrata e l’altro si faceva consegnare il malloppo. L’impiegato non se lo fece
dire due volte. Aprì velocemente la cassa e consegnò i soldi.
– Anche l’altra.
Suggerì il bandito facendo segno verso la cassa dell’altro sportello.
– E non fare scherzi.
– Sì, sì.
Rispose impaurito l’impiegato, che si alzò per andare ad aprire l’altra cassa. Prelevò i soldi e
li mise dentro il sacchetto che teneva in mano l’uomo col cappuccio e in quel momento gli
arrivò veloce il calcio della pistola sulla tempia e poi non ricordò più nulla.
– Se non te ne stai zitto, a te un buco sulla fronte.
Disse il ladro rivolgendosi al probabile direttore, che se ne stava terrorizzato in un angolo.
Il direttore non fiatò e lasciò andare via i malviventi senza gridare. Poi, dopo cinque minuti di
silenzio, corse fuori a guardare se i tipi se n’erano andati e ritornò dentro, a chiamare la
polizia e l’ambulanza.
Fossanera non era un grande paese. Contava all’incirca 5000 abitanti. La rapina all’ufficio
postale fu la notizia che permise di verificare con mano che la malvivenza era arrivata fin qui.
Fin qui arrivavano gli zingari, fin qui arrivavano i neri. Anzi, i neri prolificavano in questo
paesetto e, senza di loro, la natalità annuale sarebbe arrivata prossima allo zero. Ad attirarli
non era certamente il nome, né la benevolenza degli abitanti, ma la possibilità di trovare casa
vicino ad una zona industriale che stava allargandosi a dismisura nel cuore della pianura
padana, alla faccia di progetti locali “dal basso”, di salvaguardia del paesaggio e delle
caratteristiche del territorio. Qui il territorio aveva solo una gran bella caratteristica, quella
che i suoi abitanti non capivano niente di progetti locali “dal basso” e che in più c’era tanto
tanto, ma tanto spazio. Campi innumerevoli spogli da spogliare e avvolti da una nebbiolina
perenne che avrebbe tolto il buonumore anche ad uno psicotico nella sua fase maniacale.
– Direttore, ha notato qualche particolare strano?
Chiese il carabiniere della vicina caserma, che era venuto in sopralluogo all’ufficio postale,
rivolgendosi al direttore dell’ufficio che se ne stava seduto, bianco da far paura.
– Sì, aveva un accento particolare, come…mmm…da straniero.
– Ha notato il colore della pelle?
– Sì, erano bianchi, giovani, bassi, ben piantati. Però sembravano, ecco, stranieri, anche dai
lineamenti che s’intravedevano sotto il passamontagna.
– C’era qualche macchina ad aspettarli?
– No, nessuna, e poi c’era il mercato stamattina, si sono confusi tra la gente, ne sono sicuro.
Il carabiniere socchiuse gli occhi, come per vedere meglio i pensieri che si affollavano nella
sua mente.
Il campo nomade! Ne era arrivato uno stamattina. Il sindaco aveva subito emanato l’ordinanza
di sgombero immediato e i due carabinieri con i due vigili del paese erano andati con le buone
maniere a presentarla ai nomadi. Forse una ripicca prima di andarsene. Chiamò la centrale e
diede i dati relativi ai nomadi, che sicuramente avevano trovato un’area di sosta non molto
lontano.
La rapina all’ufficio postale fu l’ultimo delitto, di una piccola serie d’episodi
incresciosi che da qualche mese succedevano nel paese, piccole cose, certo, come quella della
sparizione di tutti gli addobbi per la festa dei Santi Patroni; gli addobbi furono ritrovati nella
piazzetta davanti ad un centro per disabili del paese. I disabili li riciclarono facendo creazioni
artistiche, cosicché, alla fine, il fattaccio fu presto dimenticato, finché non accadde qualcosa
di ben più grave.
A Fossanera sia i vigili sia i carabinieri facevano bene il loro lavoro. Tutte le sere, la
macchina dei carabinieri passava per il paese per garantire un po’ di controllo e sicurezza su
queste stradine nebbiose di campagna. La casa del sindaco si trovava in una di queste vie e
qui la macchina passava un po’ più frequentemente. Il sindaco era un bell’uomo di 50 anni,
non ancora sposato, ma si diceva se l’intendesse con l’impiegata all’ufficio anagrafe del
comune. Tutti si chiedevano perché mai tentassero di nascondere quest’amore, già che in
comune tutti n’erano a conoscenza. S’imputava che questo connubio non fosse trapelato per
ragioni d’incompatibilità ambientale, nel senso che un amore nel posto di lavoro sembra un
tradimento dei principi d’integrità e d’incorruttibilità che un lavoro di rappresentanza deve
mantenere. Ma…, c’era anche chi spettegolava per un presunto interesse particolarmente
puntiglioso del sindaco per le beghe sentimentali del paese, il cui passaggio obbligato era
appunto l’ufficio anagrafe.
Il sindaco era un uomo abitudinario, e dopo il saluto ai carabinieri che quotidianamente
accompagnavano il suo rientro, fu facile per i malviventi apprestarsi sotto la grande magnolia
che ombreggiava la casa del sindaco e sorprenderlo, perché si sa quanto l’abitudine possa
inficiare il controllo.
– Entra!
Gridò uno dei tre uomini che si erano materializzati alle spalle del sindaco mentre cercava di
infilare le chiavi per entrare dentro casa.
Il sindaco si girò appena per vedere la pistola che gli stavano puntando alla schiena. Aprì il
portone senza fiatare e con uno spintone ruzzolò dentro casa, come un sacco di patate, con la
pancia rivolta a terra.
– Sta’ zitto, altrimenti ti faccio saltare le cervella!
Gli gridò contro uno di loro, mentre un altro con un grosso coltello da cucina si piazzava
davanti alla porta, che avevano chiuso a chiave.
– Prendete tutti i soldi, ma andate via da casa, vi prego. Vi darò tutto.
Supplicò il sindaco.
La casa del sindaco era una bella villettina. Viveva insieme alla mamma novantenne che a
quell’ora si trovava al centro diurno per anziani, dove se la spassava allegramente fino alle
19.00, ora in cui veniva riportata a casa dall’assistente sociale con la nuova tipo bianca
appositamente comperata dal comune per il trasporto degli anziani. Perché era un paese
piccolo, ma attento alle politiche sociali. Nel territorio, oltre al centro diurno per anziani, c’era
un Centro educativo occupazionale diurno (quello che comunemente viene chiamato CEOD),
gestito da un’Associazione sulla base di una convenzione con l’ULSS1, che occupava al suo
interno una quindicina di ragazzi disabili; un Centro Occupazionale diurno gestito da una
cooperativa sociale, dove i ragazzi con disabilità assemblavano le selle delle biciclette,
prodotte da un’azienda del posto, ed un centro ironicamente chiamato “Villa serena”, una
specie di residenza del tipo “dopodinoi”, sempre per ragazzi disabili in difficoltà perché adulti
e senza genitori in grado di prendersene cura. In questo paese avevano molto a cuore il
problema della disabilità.
– Al, prenditi cura dello stronzo. Disse uno dei banditi al terzo uomo, che se ne stava ad
osservare in maniera a dir poco malevola il bel sindaco sdraiato per terra.
– Con piacere.
Si accovacciò sopra la schiena del sindaco e, tirandolo per i capelli, sollevò la sua testa sino
ad arrivare con la bocca all’orecchio del poveretto.
– Non voglio sentire un lamento, altrimenti ti spacco la testa, giuro su dio, testa di cazzo!
Gli sibilò, e con le mani attorno alla cinta gli slacciò e tirò giù i pantaloni.
L’altro si era accovacciato davanti con il coltello bene in vista e il sindaco non poteva
muoversi.
– Fagli vedere cosa sai fare. Disse ridacchiando al complice, che già stava godendo sopra
il pover’uomo.
Quello che accadde dopo, purtroppo il sindaco non fu in grado di raccontare.
Si seppe solo che venne trovato mezzo nudo, in uno stato semincosciente dalla mamma e
dall’addetta all’assistenza, che gli prestò i primi soccorsi. Il sindaco non tornò più alla
normalità. Si trasferì, dopo la breve permanenza all’ospedale, in un’altra città e di lui non si
ebbe più notizie. La cosa tragica fu che la madre venne ricoverata nella residenza per anziani
del paese, ma morì poco dopo, si pensò di crepacuore, e il centro diurno per anziani, situato
all’interno della residenza per anziani andò miserevolmente in decadenza. Bisogna pur dire
che gli anziani trovarono una bella sede nel centro del paese e qui si organizzarono le
giornate. Questo naturalmente grazie all’impiegata dell’ufficio anagrafe che, alle elezioni
successive, diventò sindaco, non si sa per le sue capacità o in onore dell’ex primo cittadino; fu
comunque una sorpresa che il nuovo sindaco se la cavasse meglio del precedente. Certo è che
al suo insediamento volle una giunta tutta al femminile. Nonostante questo cambiamento, i
fattacci di malvivenza, piccole cose, continuarono, finché non successe una cosa strana.
Tutto era pronto per la gran festa annuale del CEOD, dove i disabili presentavano i
lavoretti svolti durante l’anno scolastico. Erano una quindicina di ragazzi, con disabilità varie,
dalla sindrome di Down a ritardi mentali gravi, e qualche ragazzo psicotico. C’erano due
educatrici e due addetti all’assistenza. Dentro si svolgevano vari laboratori, di ceramica, di
cucina, di falegnameria e i lavori erano semplici, la natura degli ospiti lo richiedeva. La
soddisfazione della mostra annuale era soprattutto per gli operatori del centro che avevano
l’occasione per aprirsi alla comunità, per parlare d’integrazione. Era da una ventina di giorni
che le educatrici erano in fermento.
Il banchetto e lo striscione di benvenuto erano in bella vista nell’atrio e accanto in un’altra
tavolata, le famose torte dei genitori troneggiavano, in bella vista.
Le educatrici erano arrivate presto la mattina per gli ultimi ritocchi alla mostra.
– E’ perfetto.
Disse Orietta, l’educatrice, rivolgendosi all’altra che stava attaccando l’ultimo manifesto con
le foto dei ragazzi mentre lavoravano, nelle loro espressioni più riuscite.
– Già. I ragazzi, a che ora arrivano?
– Mah, dovrebbero essere già qua.
I ragazzi, infatti, venivano, di solito, prelevati la mattina presto dal pulmino messo a
disposizione dal Comune e poi portati fino al centro per rimanervi tutta la giornata fino alle
cinque della sera e riportati poi a casa.
Arrivò il pulmino. Elena, l’addetta all’assistenza che li avrebbe dovuti accompagnare, scese
dal pulmino sconvolta e gridando.
– Non ci sono. Non ci sono, nessuno! Nessuno!
– Ma cosa dici? Calmati, spiega quello che è successo.
– La polizia e i carabinieri stanno indagando. Sono partiti tutti, tutti!
Rispose Elena, mentre l’autista del pulmino, altrettanto sconvolto, scendeva anche lui per
confermare l’accaduto.
– Stamattina abbiamo fatto il nostro giro delle fermate e ci sembrava strano che proprio oggi
i ragazzi mancassero. Così ho pensato di telefonare alle famiglie, forse si erano messe
d’accordo in altro modo. Ma nessuno rispondeva e allora abbiamo deciso di andare a casa
di Mario. Lo sapete anche voi che ha la mamma vecchia e che non l’avrebbe potuto
accompagnare da sola. Quando siamo arrivati, abbiamo provato a suonare ma non
rispondeva nessuno. La porta era aperta e siamo entrati piano piano.
Qui Elena si interruppe per piangere. Così continuò l’autista a parlare.
– Dentro era tutto buio, quando all’improvviso dalla cucina abbiamo sentito un lamento e lì
abbiamo trovato la mamma di Mario.
– E cosa vi ha detto?
Chiese con impazienza Orietta, pensando alla mostra. La mostra! Tra un po’ sarebbero
arrivati, il Sindaco e il Direttore dei Servizi Sociali, e loro cosa avrebbero detto? Spiacenti,
non ci sono i ragazzi?
– Veramente non poteva dire nulla, perché era legata e imbavagliata.
– Imbavagliata? Ma cosa è successo? E Mario?
– Mario è scappato.
– Scappato? Ma-rio? Sei sicuro?
– Sì, sono scappati tutti.
– Scappati tutti? Ma a chi ti riferisci?
– A tutti i ragazzi del centro. Sono scappati. Fabio si è finto un operatore e se ne sono
andati.
– Sì, ho capito, ma non saranno tanto lontani…, i genitori …
– No no, hanno preso l’aereo.
– Ma ma…, l’aereo, dai, non scherzate!
– Non scherziamo e, da quel che ho capito, parlando con la polizia si sono presi i passaporti
di una comitiva di disabili americani e adesso sono lì.
– Lì dove?
– In America!
Orietta si accasciò per terra. Il sindaco quando arrivò, trovò tutti che piangevano. A nulla
servì ricordare che era anche per merito loro se i disabili avevano acquisito queste capacità
d’autonomia, d’indipendenza.
– Ma quale indipendenza! Sboffonchiò Orietta tra le lacrime.- Sono dei criminali! Ecco, li
dovrebbero rinchiudere tutti! Pazzi criminali!
Il sindaco, ex impiegata d’anagrafe, li conosceva tutti i ragazzi. Guardò le foto dove erano
ritratti mentre lavoravano. Pensò alle famiglie, tutta gente che si era data da fare per creare
questi centri, per i propri ragazzi. Guardò i lavoretti fatti, quanta fatica per loro, e anche gioia
nello stare insieme, ma anche solitudine e isolamento. Guardò il salone del centro. Guardò gli
operatori, soli e desolati. Avrebbe voluto dire loro che il sindaco precedente aveva dato già
l’autorizzazione per un altro ceod. Ma pensò che invece avrebbe ritirato l’autorizzazione e, al
suo posto, avrebbe creato un bellissimo centro culturale e laboratori, in cui tutti avrebbero
avuto l’accesso, sarebbe stato bello anche per i giovani del paesetto avere laboratori, vita
culturale, tutti insieme, con operatori preparati; sarebbe stato un arricchimento anche per i
ragazzi disabili. E così sorrise mentre li immaginava in volo, in un viaggio verso l’ignoto,
verso l’altro, verso altre persone, a visitare un mondo nuovo, ad assaporare la grandezza della
libertà.
Anche a Fossanera tornò la tranquillità.
Dei ragazzi non si seppe più nulla. Fu scoperto per caso che a fare la rapina alle poste erano
stati alcuni dei ragazzi disabili fuggiti. A casa di uno di loro si trovò la pistola e che mancava,
nella serie dei video, raccolta dal padre, quella che davano in omaggio settimanalmente col
quotidiano, proprio un film: Papillon.
Nessuno però si accorse che, dalla videoteca, mancava anche una brutta serie di film porno.
1 In Veneto ULSS è Unità locale sociosanitaria; corrisponde alla ASL delle altre regioni.
In relazione a ciò che hai scritto il 2/10/2008 (CHE RAZZA DI RAZZISMO) non penso che amino tutti essere come ha detto il tuo amico. L’amore disinteressato esiste, almeno io lo credo, e se siamo almeno in due a crederlo allora un buon motivo ci sarà. Non credo nell’amore legato ai canoni estetici. Come ho già detto una volta, l’aspetto esteriore può essere solo la bella confezione, ma una volta conosciuta la persona può deludere (e non è rado che succeda). Bisogna cercare persone simili a noi, questo penso può renderci felici, e anche se inizialmente l’essere come siamo può allontanarci dalle persone, alla fine saranno i veri amici a rimanerci accanto.
Ciao
è vero, alla fine ti rimangono a fianco i veri amici e sono proprio convinta che esista l’amore disinteressato. ma la gente davvero, in generale, ama essere maltrattata? qualche dubbio mi viene quando ad es. noti che ad essere apprezzato è chi grida più forte, vuoi perché di lui si ha paura, vuoi perché lo si ammira. E poi diciamocelo, alla fine ricerchi sempre chi è diverso da te; chi è simile a te non ti incuriosisce, e anche il dialogo lo preferisci come confronto che come approvazione. Le persone simili le cerchi per il raggiungimento di certi obiettivi in comune, perché insieme si lavora bene, ma quelle diverse le cerchi perché ti stimolano alla riflessione.
Mah…io non ne vengo fuori.
un salutone e grazie per il tuo consiglio, alla prox
giulia