Continuo…
SULLA STRADA
La strada si snoda in curve pericolose,
un grigio asfalto sfumato,
un tutto di terra e cielo indiviso,
mentre alle prime ore del pomeriggio
la soffice nebbia svapora.
La pianura padana è un’immagine d’amore della natura,
quando tra la nebbia fa capolino il fiume
sporco di fango e di barche fantasma,
e poi un raggio di sole bambino
illumina il fogliame rado e verdastro.
Non è il verde dei pittori,
che amano un verde umbro pastoso:
il verde della pianura è di un verde che consola,
un verde schiumoso di animali da cortile,
che odi lontani in qualche sabbiosa rincorsa,
un verde così misterioso e scuro
che ti fa sentire l’assurdo della natura,
una lama spietata di sensazione lucida
di esser parte di qualcosa
(scherzosamente unica e irripetibile?)
Quanta crudeltà
lasciare questi luoghi,
senza più abitare questa immensa casa,
dolce pianura mia,
mia dolce, dolce pianura.
Girovagava senza meta. E poi, dal portico sbucò all’aria di una vasta piazza, Prato della Valle.
Lì il brusio degli immigrati rendeva la piazza simile ad un grande bazar. Dalla Piazza alzò gli occhi finalmente al cielo e tra le luci quasi notturne poté ammirare in lontananza la Basilica del Santo.
Giorgio ne fu consciamente come attratto. Non posso fermare il mio cammino, devo andare perché c’è qualcuno che mi chiama, diceva tra sé. Non pensava ad un’esperienza mistica, perché Giorgio rifuggiva da qualsiasi situazione che non fosse connotata da concretezza, ma il richiamo lo sentiva così forte che le gambe procedevano da sole e, come sospinte dalla forza del mare, un’onda le percorreva. I brividi di freddo si alternavano al sudore ed ogni pensiero sull’episodio vissuto qualche ora prima era scomparso per lasciare il posto a quell’invito.
Si ritrovò nella piazzetta antistante la Basilica dalla grande facciata in stile romanico, quella dove si erge la statua del Gattamelata. Non posso seguirti, il tuo bastone chissà ora chi sta chiamando e incitando al sangue, gli disse Giorgio, sedendo sul muretto vicino.
Un barbone dagli occhi lucidi lo guardò: “Vedo dietro di te la mano di Dio”. Giorgio gli sorrise e gli tese quei pochi spiccioli dalla tasca: “Tieni”, gli sorrise, “ancora un altro bicchiere e ne vedrai anche gli occhi”.
Il barbone si allontanò felice, rivelando un sorriso sdentato. Non fece neanche in tempo a seguirlo con lo sguardo che una macchina gli si avvicinò. Nel buio, i fari lo illuminavano e non riusciva a scorgere chi la stesse guidando, quando il finestrino dal lato opposto al guidatore si abbassò: “Dai, sali”.
Giorgio non fece domande, si avvicinò alla macchina, aprì la portiera e vi salì sopra. La macchina sgommò sull’asfalto. Rimasero in silenzio, Marina guardava diritta la strada e così anche Giorgio.
“Ho girato per tutta Padova”, la donna ruppe il silenzio “ma sapevo che ti potevo trovare solo qui. Ormai hai perso il treno, ti accompagno io a Milano”
Giorgio si abbandonò sul sedile della macchina, senza rispondere a Marina. Sentiva che stava per perdere le forze, la camminata senza meta lo aveva svuotato e abbandonarsi a quella donna era l’ancora della sua salvezza; aveva la sensazione di aver perso la sua meta, Giovanna.
Giovanna, dove sei?
Esisteva da qualche parte, qualsiasi parte, qualcuno, qualcuno, qualcuno con, con, con, con cui esistere, esistere, esistere?
Grosse nuvole nere, più nere della notte si profilavano all’orizzonte e scendevano minacciose sulla strada che si snodava davanti a loro. Marina si voltò verso di lui e vide il nulla. Un’ombra discese sui suoi occhi: nello stesso giorno aveva trovato l’amore e nello stesso giorno sapeva di averlo perso per sempre. Lo accarezzò dolcemente, grazie a lui aveva acquistato la consapevolezza della propria forza.
Aveva lasciato Luca ancora nudo, disteso sul pavimento. Mentre faceva l’amore con Luca sentiva una nota dissonante, qualcosa che non gli faceva provare un piacere totale. Il piacere meccanico dell’unione con Luca si riduceva a sensazioni corporee, e una volta sedato l’orgasmo, gli rimaneva il desiderio di qualcos’altro da raggiungere. Luca aveva cercato di esprimere il suo possesso e questo l’aveva umiliata. “Luca, devo andare”, gli smosse dal seno il braccio, inarcando la schiena e svincolandosi.
Luca la guardò: “Perdonami, ti amo”
“Lo so, ma adesso lasciami andare”, la mano di Luca le tratteneva con forza il braccio, “Lasciami”, lo affrontò con sicurezza, “o non tornerò”
“Ho capito, perdonami, sei libera”, Luca supplicò Marina.
“Non ho bisogno che tu mi lasci libera, io sono libera”, replicò Marina.
Luca lasciò la stretta, aveva capito che Marina sarebbe andata via comunque, ma non sapeva se Marina sarebbe ancora tornata da lui. E tutto il potere che aveva dimostrato prima, prendendola quasi con rabbia, gli parve improvvisamente inutile.
(CONTINUA)
azz…ma allora ci vuoi far morire…
ok adesso bisogna aspettare la prossima puntata
🙂
mi piace troppo per non voler sapere la fine…
ufff
tra due crudeltà occorre scegliere quella minore… le pianure non soffrono…
habemus Borgia!
c’è molta poesia nella prosa, questa è la chiave di volta della scrittura… per il resto taM taM taM taM taM taM v taM taM taM taM taM (ad libitum)…
Cazzarola, mi ci perdo spesso nella tua pianura umidiccia e nebbiosa e sapessi quanto mi piace guidarci di notte…poi si trova pure qualche internet point!
P.S. Per un romano non è il massimo guidarci di notte, guidare con la nebbia non è facile, ho sempre pensato che prima o poi finirò schiantato dentro a un canale, poi non so neanche nuotare, poi magari il canale è talmente profondo che nessuno se ne accorge e sparisco nel nulla…mica male!!!
II P.S. Dovessi dirti, viaggiarci è molto Wanderer postmodernamente liquido, mi ispira molto e allarga, giustificandolo, il concetto di solitudine dell’essere umano.
Mi piace l’espressione “la pianura è di un verde che consola”. Non è mai facile descrivere un colore, e tu l’hai fatto benissimo. Leggerò il racconto quanto prima. Riguardo al mio post, è ovvio che sono domande retoriche, ma se qualcuno vuole rispondere, non dico a tutte, ma anche solo a una, ben venga. Ciao…
ok, traduci tu e metti gli omissis…
… mica tutti possono essere stakanovisti come Marina…
ho letto velocemente….troppo velocemente. Ripasserò con calma.
Hai un bel modo di scrivere. Morbido lo definirei. Riesci ad esprimere concetti profondi con una sorta di “leggerezza” che invoglia a leggere fino in fondo.
Solo un difetto: passa troppo tempo tra una puntata e l’altra ;-)).
P.S:Il mio non è coraggio. Diciamo che è consapevolezza.
Il tempo della partecipazione “gasata” è ormai lontano….ho troppi anni per lasciarmi illudere che si possa fare qualcosa di concreto. Però mi rimane la voglia di far sentire che ci sono. Che la presenza di tante persone DEVE pur significare qualcosa.