Papà, tra poco è Natale!
Tutto era cominciato dopo quel maledetto giorno in cui aveva perso sua madre: se n’era andata via per sempre. L’aveva salutata una mattina, che doveva andare all’ospedale per una visita. Un bacio veloce sulla guancia, la mano fredda di sua madre: come poteva perdonarsi di non essere stato attento, di non averla abbracciata un’ultima volta stretto stretto… Anzi, con fastidio l’aveva scostata con la mano, quando aveva provato a raddrizzargli il ciuffo indomito davanti agli occhi. Una lacrima gli scivolò giù sul quaderno dove cercava un po’ di concentrazione per fare i compiti. La riviveva negli abbracci, nei dolci di cioccolato, nei caldi budini del pomeriggio e si arrabbiò perché non ricordava il colore degli occhi, ma lo sguardo intenso e il sorriso. Si alzò e andò a prendere la fotografia di sua madre, candida col velo sul capo e sorridente il giorno delle nozze con suo padre. Com’era bella! Gli occhi erano di color nocciola, come i suoi.
Sentì il morso della fame. Appoggiò con cura la foto e andò in cucina. Aprì il frigorifero ma come al solito non c’era nulla. Qualche bottiglia di latte, una confezione di uova. Se ci fosse stata la mamma!, pensò Maurizio. Ormai suo padre viveva nel suo mondo, non si curava di lui, non gli preparava neanche la cena e non gli faceva trovare nulla da mangiare.
Quando ebbe finito di mangiare si buttò così vestito nel letto e cominciò a pensare. Doveva far qualcosa per cambiare quella situazione. Forse se avesse trovato qualche lavoro, con suo padre avrebbe cominciato a parlare. Dal funerale avevano scambiato si e no qualche parola, era un rimprovero, gli pareva, come se suo padre lo accusasse: “Perché non sei morto tu, invece di tua madre?”
Sentì aprire la porta, suo padre era rientrato. Si alzò per andargli incontro e salutarlo: “Papà, se vuoi c’è ancora un po’ di pastasciutta sulla pentola, te la scaldo un po’?”
Giuseppe sospirò e guardò suo figlio con aria dolce: “Sì, certo, ho proprio fame, bravo Maurizio”
Maurizio volò in cucina e cominciò a scaldare la spaghettata, ringraziando il cielo di aver sbagliato la dose della pasta e di averla lasciata nella pentola.
Preparò velocemente la tavola e vide suo padre arrivare e sedersi, proprio come un tempo.
“Prendi, papà”, gli porse il piatto e si sedette insieme a lui.
Giuseppe cominciò a mangiare avidamente: “Buona, davvero”, gli sorrise.
Maurizio sentì dentro di sé una felicità immensa e si fece coraggio.
“Papà, tra poco è Natale”, disse, abbassando gli occhi.
Non lo vide arrivare. Il ceffone gli si stampò in pieno viso.
“Sei uno stupido! Hai il coraggio di pensare al Natale quando tua madre è morta da un mese?”
“Ma papà,…domani…”, gli fece eco Maurizio, piangendo sommessamente per il dolore fisico e al cuore.
“Vattene…, vai via, vattene, non hai rispetto”, suo padre gli intimò quasi sibilando, alzandosi in piedi.
Maurizio si alzò, indietreggiando fino alla porta e poi oltre, fino in camera sua. Si sentiva come svuotato e si buttò sul letto. Pianse da solo così tanto che al mattino si ritrovò con gli occhi gonfi e con difficoltà si alzò per andare a scuola; doveva andarci, per salutare gli amici e scambiare gli auguri di Natale e del nuovo anno in arrivo. Aveva sentito suo padre uscire la mattina presto, avrebbe voluto scusarsi e dirgli quanto era stato egoista, ma non aveva trovato la forza.
Si vestì svogliatamente e andò a scuola; la mattina trascorse veloce festeggiando con panettoni, bibite e i professori che pregustavano l’aria felice delle feste. All’una si ritrovò in piazza, preso da un’incredibile solitudine.
A casa, intanto, Giuseppe si era fermato a contemplare il lavoro, ma iniziava a preoccuparsi, si stava facendo tardi. Guardò l’orologio: erano le otto della sera e Maurizio non era ancora arrivato. Ancora qualche minuto e poi sarebbe uscito per andare in cerca. Maledizione, perché l’ho trattato in quel modo? Se fosse successo qualcosa anche a Maurizio non se lo sarebbe mai perdonato… Dio, pensò, aiutami tu…
In quel momento, nel turbinio dei pensieri, sentì che qualcuno apriva la porta. Tirò un sospiro di sollievo e continuò il lavoro.
Maurizio entrò nella grande casa, lo avvolse qualcosa ancora di tiepido, ma era un calore familiare. Un rumore proveniva dal salotto, ma non osò fiatare. Fece per andare diritto in camera ma passando per il salotto quello che vide lo fece restare senza parole.
Maurizio si fece coraggio e si chinò accanto al padre.
“Papà…”
“Scusa Maurizio per ieri sera”, Giuseppe non aveva il coraggio di guardare il figlio negli occhi.
“Non preoccuparti, capisco papà, ti ho capito”
“Sì, lo so che sei un ragazzo in gamba”, gli disse Giuseppe, mentre sistemava la mangiatoia dove la statuina del Bambin Gesù sarebbe apparsa alla mezzanotte.
Maurizio guardò bene il presepe.
“Papà, manca…manca la statuina della Madonnina…”
“No, Maurizio, non manca. Credo che stanotte scenderà anche lei. Sì, sono sicuro che stanotte la mamma scenderà insieme al Bambin Gesù…”
E padre e figlio si abbracciarono stretti stretti.
“Sì”, ripeteva Giuseppe, “tra poco è Natale”