CHI DICE DONNA

1° APPELLO IN RETE PER L’ABOLIZIONE DEL TERMINE “CASALINGA”

1° APPELLO IN RETE PER L’ABOLIZIONE DEL TERMINE “CASALINGA”

 

Ebbene sì, ci casco anch’io nella RETE DELLE RETI, la rete che allarga le maglie delle relazioni: l’APPELLO IN RETE.

Devo ammetterlo, banalizzando la mia azione e la mia capacità di analisi critica: ho firmato gli appelli più originali, compreso l’appello per la difesa della zucca doc. E devo pur dire che la zucca mi piace, in tutte le sue varianti, compresa quella “fritta, con lo zucchero”.

Indi, possedendo questo mio piccolo spazio di libertà individuale, dove le mie assurdità possono rintronare fin nella eco profonda del mio stomaco, mi sembra giusto trovare la possibilità di una discussione su alcuni termini che per via delle trasformazioni sociali non hanno e non trovano più ragione di esistere e che danneggiano le donne, nella loro immagine e naturalmente nella quotidianità.
Parlo del famigerato termine “casalinga”.

 

Dallo Zingarelli:

casalinga s.f. (m. -o raro o scherz.) Donna di casa, che si occupa solo delle faccende domestiche e familiari.

Casalinga“- è un termine assolutamente sessista che non viene declinato al maschile (al maschile viene utilizzato in maniera scherzosa, quasi un vezzeggiativo).

Chi è la casalinga: colei che cura la casa?

Non esiste un ruolo, una funzione collegata a questo termine, e talvolta viene usato in modo spregiativo: ricordate la famosa “casalinga di Voghera”?

Ci sono termini che offendono intimamente noi donne; abbiamo cambiato nome agli “spazzini”, trasformandoli in “operatori ecologici” e continuamo invece ad utilizzare una terminologia che ci offende?

Non esiste una funzione correlata alla casalinga: svolge un lavoro? Se svolgesse un lavoro dovrebbe essere retribuita e avere un contratto.

Quale scrittrice/scrittore o poeta vorrebbe essere chiamata casalinga? Eppure per scrivere se ne sta parecchio tempo a casa… 🙂

 

Allora mi appello al mondo civile: aboliamo il termine “casalinga”!

 

 

Continua il mio Viaggio in Inghilterra:

 

UN VIAGGIO IN INGHILTERRA

Continua dal post precendente

Qui tutto il racconto fino a questo punto… senza girovagar per post…


“Basta! Smettila, è tutto a posto…”, e la prese tra le braccia, senza nessuna voglia se non quella di tenerla stretta e di calmarla, come si fa con i bambini e la riportò seduta trattenendola a sé.

Alessia dapprima sentiva affiorare la rabbia e si divincolava dalla stretta, ma non ci riusciva e alla fine si lasciò andare all’abbraccio.

“Scusami”, le sussurrò piano, “Puoi spiegarmi cosa ti succede?”

Ormai calma, si vergognò della debolezza; lo allontanò.

“Vado, lasciami stare, scusami ma non sto bene”, e si sciolse dolcemente dalla stretta.

“Ti accompagno, non puoi andare così”, le disse deciso.

“No, non preoccuparti, avevo solo frainteso”

“Frainteso? Mi assali in quel modo, non capisci nemmeno quello che stai facendo e parli di fraintendimento? Tu hai bisogno di aiuto, di qualcuno con cui parlare… non stai bene…”

“Tutto a posto, è colpa mia, ho capito male, ti chiedo ancora scusa e … adesso, lasciami stare”, lui cercava di trattenerla per la mano, ma ormai si era alzata e la lasciò andare; velocemente Alessia raggiunse il gruppo delle amiche ancora in mezzo alla pista da ballo.

Neal la seguì con lo sguardo. Forse era vero, forse era ossessionato da quella ragazza e lei aveva capito qualcosa di diverso, però mai gli era mai capitato che una donna lo trattasse in quel modo, come se facesse schifo e paura. Doveva lasciarla perdere e doveva preparare la tesi, il suo Professore lo stava seguendo e lo stava spronando a non mollare e a lavorare per la presentazione alla Commissione in dicembre. Aveva solo due mesi per il lavoro di rifinitura. Già era metà agosto e per ottobre la tesi doveva essere consegnata, ma non poteva slittare alla sessione successiva se non voleva perdere quel posto per il dottorato e lavoricchiare come assistente del suo professore.

Alessia continuò a ballare fin quasi alla mattina, poi insieme alle altre compagne andò a dormire cercando di dimenticare l’episodio con Neal.

Il giorno seguente sembrò che la sera prima non fosse successo niente.

La giornata passò tranquilla. Le ragazze decisero di frequentare il corso di tiro con l’arco. L’insegnante era un ragazzotto dai capelli rossi, allampanato e simpaticissimo. Riuscì, tra le risate, a farsi capire con i gesti, poi venne in suo aiuto anche l’insegnante d’inglese del loro gruppo.

Eddy, il maestro di tiro con l’arco spiegò brevemente come dovevano impugnare l’arco: la tensione della corda era importante, la posizione dell’indice sopra la cocca e il medio e l’anulare sotto la cocca e poi la trazione della corda fino a raggiungere con il dito indice l’angolo della bocca. Gli occhi puntati verso il bersaglio, la posizione dei piedi paralleli al bersaglio. Ed ecco scoccare la freccia.

Alessia sentì prima il rumore e poi la cordata sul braccio. Il dolore fu lancinante. E provò piacere. Continuarono ad esercitarsi per quasi tutto il pomeriggio. Ad ogni cordata sentiva fluire il sangue su tutto il corpo, ed era una sferzata che la risvegliava e la faceva sentire viva, nonostante il dolore fosse acuto e pulsante.

Al termine, stanchissime andarono a cena nel capannone del campus, dove si mangiava tutti insieme; a rotazione, i vari gruppi dovevano sparecchiare e pulire per tutti.

Quella sera toccava proprio al gruppo degli italiani. Si divertirono tantissimo a pulire la cucina e a cantare a squarciagola, ma alla fine erano stanchissimi e a mezzanotte anzichè andare a ballare decisero di andarsene in camera a mangiare i salami che dall’Italia cominciavano ad arrivare dai parenti timorosi che i loro figli soffrissero la fame: anche in quella occasione si dimostravano i soliti italiani che si distinguono in tutto il mondo, incapaci di adeguarsi alla cucina straniera. I sapori italiani sono tutti sapori da condividere in compagnia; ridevano come pazze con i salami appesi in camera, sembravano emigranti del sud negli anni ’50 a Milano.

Prima di andare a letto andarono in lavanderia a portare la roba sporca a lavare. Alessia si attardò e fu l’ultima ad uscire per portare i pantaloni ad asciugare.

Si trovava sola in lavanderia quando entrò Neal, anche lui con un paio di pantaloni in mano.

“Alessia, cosa fai qui?”

“Potrei dire di te la stessa cosa”, rispose Alessia sorridendo.

“No, guarda, non avevo alcuna intenzione di …”, e fece per uscire.

“Pensi sia piccola per certe cose?”, lo sfidò Alessia, con lo sguardo malizioso.

“Piccola per cosa?”, sorvolò Neal imbarazzato, mentre lei lo raggiungeva, come se dovesse chiarire qualcosa di sospeso.

“Credi abbia paura di te?”, continuò a sfidarlo.

“Non voglio pensarlo”

“L’ho già fatto se ti interessa”, e gli andò vicino.

“Cosa hai già fatto?”

Devo stare lontano da questa pazza…, pensò dentro di sé.

Lei gli andò incontro, mentre Neal si appoggiava alla porta.

È una ragazzina strafottente sicura di sé, ecco cos’è. Sa di essere bella.

E Alessia sapeva, sapeva invece di andare su un terreno pericoloso, voleva capire se era lei la causa di tutto. Stava sbagliando? Aveva sbagliato? Era colpa sua? Non lo sapeva, non lo capiva.

Fosse stato possibile tornare indietro nel tempo, avrebbe agito diversamente.

Così vicina, gli apparve indifesa e fragile, una bambina. Voleva baciarla, provò un desiderio infinito di baciarla.

Invece la prese per il braccio.

“Ah…, mi fai male”, Alessia si ritrasse dolorante, con la mano sul braccio per proteggerlo.

L’aveva appena sfiorata.

“Fammi vedere, che hai?”, le prese il polso e sollevò la manica della maglietta.

Aveva i lividi blu sul braccio gonfio.

“Che hai fatto?”, le chiese spaventato. “Con l’arco, oggi pomeriggio”, e srotolò la manica della maglietta, vergognandosi di essere stata scoperta, come una bimbetta.

“Andiamo in infermeria, ti accompagno, non puoi stare così…, ti farà male”

“No, non è niente”, rispose mentendo.

“Su, andiamo”, le disse in tono perentorio.

Si lasciò accompagnare fino all’infermeria, in uno stabile poco lontano dalla loro casa.

Restarono in silenzio, poi entrarono nella piccola stanza e lui parlò con il medico; lei gli mostrò il braccio. Si misero a ridere di lei, così le sembrò, e si sentì sprofondare mentre il medico le spalmava una pomata e le fasciava il braccio con cura. Poi diede delle pillole a Neal e li salutò, dandole una pacca sulle spalle e scompigliandole i capelli come fosse una bambina.

Uscirono dall’ambulatorio che Alessia era demoralizzata anche se l’aria della notte e la presenza di Neal accanto la facevano stare bene.

“Non stavamo ridendo di te. E’ che capita sempre che qualcuno si faccia male se non utilizza le protezioni per tirare con l’arco…”, la rassicurò come se capisse i pensieri che le passavano per la testa.

L’accompagnò fino alla stanza.

“Tieni, prendi questa con un po’ d’acqua se il braccio ti fa tanto male…” e le consegnò una delle pillole che il medico gli aveva dato.

“Grazie, ti volevo ringraziare…”

“Va’ a dormire adesso…, e non combinare altri guai”, e si mise a ridere con complicità.

Alessia lo guardò e lo vide per la prima volta, così con gli occhi sorridenti e i capelli ricci che gli arrivavano sulle spalle. Capelli ricci, pensò, il solito gesto che scompiglia l’impossibile

“Ciao, a domani”, gli sorrise ed entrò per la prima volta felice in camera, dove le altre ragazze già dormivano profondamente…

(CONTINUA)

 

1° APPELLO IN RETE PER L’ABOLIZIONE DEL TERMINE “CASALINGA”ultima modifica: 2010-03-19T17:00:00+01:00da
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