CHI DICE DONNA

LA SFIDA

RESIGNATION!

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DIMISSIONI!!!!

 

 

IL COLLEZIONISTA DI FINALI

 

RIASSUNTO DELLA TRAMA (puntate/post precedenti):

I° parte: La storia si svolge a Padova. Arturo conosce in modo inaspettato Anna, mentre è a casa di Filippo, nel mezzo di una festa. Scopre i due che si stanno baciando nella biblioteca della grande casa del professore Brunelli, padre di Filippo.

Filippo si arrabbia con lui e lo caccia da casa; è sgarbato anche con Anna che se ne va insieme ad Arturo, che con la macchina l’accompagna a casa a Legnaro.

Arturo è uno studente universitario di lettere.

Anna è in terza liceo classico, e si sta preparando per l’esame di maturità.

II° parte: la storia viene narrata in prima persona da Umberto, uno squattrinato scrittore di venticinque anni, che s’arrabatta finanziariamente scrivendo lettere d’amore a pagamento e piccole recensioni di libri sui giornali. Umberto viene invitato da Marta, la sua ragazza, a casa di Arturo, suo cugino.

Umberto accetta e insieme vanno a casa di Arturo, a Piove di Sacco, una cittadina in provincia di Padova. Lì, la zia di Marta e mamma di Arturo, ha preparato un pranzo stravagante a base di ricette sarde. Durante il pranzo nasce una discussione tra Umberto e Arturo sulla letteratura, sulla scrittura in generale. I due si contrastano, con idee diverse, finché Arturo sfida Umberto chiedendogli…

 

IL COLLEZIONISTA DI FINALI

(per leggere interamente il racconto, seguire i post dall’inizio)

Tra le mie capacità, ne ho una che apprezzo particolarmente: quella di captare subito il pericolo. Non dovrei rivelarlo, perché so che non mi fa onore, eppure è qualcosa che agisce indipendentemente dalla mia volontà. Mi succede fin da piccolo e ormai ho imparato a riconoscerlo.

Alle parole di Arturo ecco percepirne il segnale: il lobo dell’orecchio sinistro si muove, un movimento ritmato, che dura più di qualche secondo e mi fa assomigliare ad un piccolo Dumbo. Mi era capitato la prima volta a dieci anni. La moto di mio zio quel giorno era lì, davanti al portone della casa dove abitavo, in campagna. Era una Cagiva 125 bluette, lucida, nuova, splendente, che desideravo come fosse l’astronave che mi avrebbe condotto verso pianeti sconosciuti. Lo zio Giacomo qualche volta mi aveva portato con sé in sella e mi aveva mostrato l’accensione. Lo chiamavo zio, ma per me era solo un fratellone più grande, un ragazzotto di sedici anni che si ringalluzziva e si credeva un play-boy con quella moto da sballo. E come dargli torto? Elisa, la bambina che sognavo ogni notte, mio dolce e tenero amore, sicuramente mi avrebbe filato se fossi stato alla guida di quel cavallo rombante, sfrecciando per la piazza del paese. Il fascino che sprigiono, in effetti, non è una dote naturale ma sarebbe apparso molto più in là con gli anni e la mia dote affabulatoria è frutto di fatica e di studio, ci cui allora non avevo la benché minima traccia.

Essere brufoloso e magro come un ramo secco non aiuta di certo ad aver successo con le ragazze. Il mio lobo sinistro cominciò a battere con un ritmo forsennato, ma non gli diedi il giusto peso, perché mi avvicinai alla moto e ci montai sopra da incosciente, quanto lo era stato mio zio a lasciarci le chiavi; ero sicuro che nessuno se ne sarebbe accorto, e che avrei riportato la moto al suo posto, il tempo per fare un giretto di cinque minuti e farmi notare da Elisa che sapevo essere al muretto della piazza del paese insieme alle amiche. Mi assestai deciso sulla moto, prendendo la strada diretta alla piazzetta. Il mondo mi sembrava piccolo per il mio cuore grande e la libertà che sentivo in quel momento non l’avrei più sentita per molto tempo. La moto è una filosofia di vita e chi la guida è un grande filosofo. Ero felice, e quando feci il giro della piazzetta davanti alle ragazzine, mi sentii un uomo, un re che concedeva il saluto ai sudditi ai suoi piedi.

La piazza era quadrata, con tre piccole stradine che da essa si diramavano. Da una parte, il teatro dismesso con colonne fino a terra e scalinata coperta; confinante la parte laterale della Chiesa del paese. Intorno si scorgevano i piccoli negozi: un panificio, un tabaccaio, un negozio di calze e di intimo, occasione di risate per noi ragazzi del paese alla vista di mutandoni e di guaine contenitive. Era distante dal nostro mondo l’intimo trasgressivo pubblicitario delle grandi catene di underwear, con perizoma e push up da capogiro. Appena entrato nella piazza vidi le ragazze che stavano confabulando tra di loro, vicino al tabaccaio, dove sicuramente si erano rifornite di gomme da masticare e di sogni amorosi. Un gruppetto di altri ragazzini, un po’ più distante da loro si divertivano a lanciare occhiate infuocate. Sapevo che in piazza scoppiavano, tra risate e chewingum, i primi amori e sapevo anche che vedermi in sella a quella moto non avrebbe lasciato nessuno indifferente e probabilmente le ragazzine avrebbero poi fantasticato su di me come possibile preda. Ah, ma io mi sarei lasciato amabilmente sbranare! Mi sentivo vittorioso e felice, perché la strada mi sembrava facile in tutti i sensi. Dopo il grandioso giro sulla piazzetta, come un centauro professionista imboccai la strada del ritorno, per rientrare a casa, sperando che nessuno in famiglia si fosse accorto della mia avventatezza. Non ricordo più i momenti successivi: lontano il cancello, il ghiaino per terra, forse una manovra sbagliata. Mi ritrovai in ospedale con la gamba e il braccio sinistro ingessati, ma quel che mi fece più male fu il mio orgoglio ferito per non essere rientrato il giorno dopo a scuola e vedere lo sguardo innamorato di Elisa.

Conseguenza di quella bravata fu il distanziamento da casa nostra di Giacomo, a cui avevo rovinato per sempre lo splendore della moto e che si rifiuta ancor oggi di considerarmi una persona degna di comprensione; una multa pazzesca per i miei genitori, denunciati per la mancata custodia di minore.

Io invece da quell’esperienza ci guadagnai parecchio.

Bloccato a letto, ingrassai di qualche chilo, mi sparirono i brufoli, cominciai a leggere.

Ma, al ritorno a scuola, capii senz’altro una cosa: alle donne piacciono più gli sfigati che le moto, ed io ero lo sfigato per eccellenza. Elisa fu la mia prima fidanzatina.

Ora, davanti ad Arturo ripensavo al segnale del lobo sinistro impazzito. Fortunatamente il movimento involontario del mio orecchio passò inosservato.

– Vorrei che tu conoscessi una ragazza, – diceva Arturo – attraverso le tue lettere devi farla innamorare di me.

– Come Cyrano!, – urlai – certo, è sempre stato il mio sogno!

Il mio lobo sinistro ormai trotterellava da solo, impazzito.

 

(CONTINUA)

 

P.S. Le foto sono tratte dal web e non hanno alcuna attinenza con il racconto, frutto di pura fantasia.

 

 

 

 

 

LA SFIDAultima modifica: 2011-01-20T20:05:00+01:00da
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